Una delle esperienze più frustranti che possa capitare a chi, come il sottoscritto, si trova talvolta a commentare gli avvenimenti geopolitici internazionali, è sentirsi domandare, con accento accorato: «E che fa l’Europa?». O, peggio, «che cosa dovrebbe fare l’Europa?». Domande che presuppongono l’esistenza dell’Europa in quanto soggetto geopolitico. Il problema è che questo soggetto non esiste. La sottile angoscia che ne consegue deriva dal non saper rispondere al dubbio: «Perché mi si fa questa domanda?». La risposta che riesco a darmi: «È riflesso condizionato». Semiautomatico. Senza che il dicente si sia fermato a considerare il senso di ciò che dice, in perfetta buona fede. Equivale a «buongiorno», «buonasera» o «ma che bella giornata». Ciò che a me pare palesemente falso a moltissimi altri pare palesemente vero, tanto da non necessitare di dimostrazione. La probabilità che l’autore di queste righe abbia torto è dunque alta. Quanto segue vale quale tentativo di dimostrare il contrario. Dunque non si pretende obiettivo.
Chiamiamo Europa uno spazio variamente definito. A scuola (svizzera prima italiana poi) mi si è insegnato che comprende le terre comprese fra la costa atlantica del Portogallo e la (bassa) catena montuosa degli Urali, che biseca la Russia in europea e asiatica, rispettivamente a ovest e a est di quelle modeste cime. Quanto all’asse nord-sud, si va dall’Islanda allo Stretto di Sicilia. La Groenlandia è non solo geograficamente americana, pur se formalmente danese dunque europea. Il Mediterraneo meridionale gode di una sua ambiguità. Qui la storia tende a determinare la geografia. Per dirla con Lucien Febvre e Marc Bloch, fondatori della scuola storica delle Annales, l’Europa nasce quando cade l’impero romano. Grandiosa costruzione geopolitica centrata appunto sul circuito mediterraneo, Mare Nostrum disegnato da Roma come se vi si imponesse la punta di un compasso. Si spiega così perché a nord delle Alpi i Paesi mediterranei siano spesso considerati extraeuropei, se non proprio africani. Inferiori.
Entro questi limiti molto fungibili le Nazioni unite contano 44 Stati, altri arrivano a computarne una cinquantina. L’Uefa, che organizza la Champions League, ne comprende 55. Data la fama transcontinentale del calcio, è probabilmente la più popolare delimitazione dello spazio europeo, radicata nel consenso e nel senso comune di genti anche extraeuropee (risparmio al lettore analoghe elucubrazioni sulla domanda gemella, per me perfino più assurda: «Che cosa dicono le Nazioni unite?», ovvero un insieme di Nazioni disunite che dovrebbe regolare il traffico delle dispute territoriali sul pianeta Terra).
Nei Paesi dell’Ue in genere la definizione implicita di Europa la vuole sinonimo di Unione europea. Equazione respinta in Svizzera ma condivisa dalla quasi totalità degli italiani, anche da coloro che non amano l’Ue. Ma come fai a trattare da soggetto geopolitico, dunque da Stato, un’organizzazione internazionale speciale di 27 Stati quale l’Ue? Nata non tanto per impulso di europei quanto degli strateghi americani, interessati a consolidare l’Europa occidentale perché non finisse sotto i sovietici? La genealogia dell’Unione europea ha tre tappe decisive, tutte di marca Usa: decisione di restare in Europa dopo la fine della Seconda guerra mondiale per difenderne la propria zona, delimitata a est dall’Elba (1945); Piano Marshall per rimettere in piedi l’Europa occidentale e impedire che soccomba alla propaganda rossa (1947); Nato, ovvero organizzazione militare dell’impero americano in Europa (1949). Monnet e Schuman, de Gasperi e Adenauer: i loro europeismi erano possibili solo entro il contesto americano. L’europeismo come parte dell’occidentalismo patrocinato da Washington. Con Trump i nodi vengono al pettine. Il presidente degli Stati Uniti svela l’arcano visibile a chiunque non sia accecato dall’ideologia europeista: agli americani dell’Europa oggi importa poco. E quel poco dipende dalla minaccia russa. L’apparentemente paradossale bellicismo dei Macron, degli Starmer o dei Merz, per cui è meglio che la guerra in Ucraina continui, deriva dal timore che gli americani ci abbandonino a noi stessi. Non accadrà, perché gli Stati Uniti non sgombereranno l’Europa. Ma certamente rifiuteranno di morire per noi. A meno che questo non sia necessario per il loro Paese.
L’atlantismo degli americani si è sempre fondato sul principio che la guerra contro l’Urss e poi con la Russia si sarebbe dovuta combattere nel nostro Continente e non nel loro. Idea condivisa specularmente a Mosca, quale ne sia il regime. Con la notevole differenza che uno scambio di bombe atomiche tattiche nel cuore del Continente europeo si svolgerebbe comunque molto più vicino alle frontiere del fu impero degli zar che a quelle della superpotenza d’Oltreatlantico. Dobbiamo direttamente agli Stati Uniti e indirettamente all’Urss/Russia questi ottant’anni di pace europea. D’ora in avanti però, Trump o non Trump, questa pace dipenderà soprattutto da noi europei. Non dall’Europa.