Il caffè dei genitori: la serie televisiva di grande successo "Adolescence" mette a nudo una verità scomoda: per noi genitori il tempo dell’autoassoluzione è finito
Il problema non riguarda solo gli incel, i redpillati e la manosfera (che più avanti capiremo cosa sono). E, paradossalmente, non è nemmeno il fatto che il rapporto con l’altro sesso nell’adolescenza sia vissuto principalmente tramite i like su Instagram, o che l’approccio alla sessualità avvenga attraverso le foto pornografiche condivise su Snapchat. Il vero problema, come ci diciamo spesso a Il caffè dei genitori, è quello che noi adulti non sappiamo della vita dei nostri figli, e ciò passa anche attraverso un linguaggio che ci è del tutto (o quasi) sconosciuto. Dietro questo linguaggio incomprensibile, c’è un mondo che non conosciamo. E senza questa conoscenza, siamo totalmente impreparati e incapaci di offrire agli adolescenti l’aiuto di cui hanno bisogno per crescere. Mamme, papà, insegnanti, psicologi, forze dell’ordine: nessuno è escluso. Tutti siamo in difficoltà a infrangere la barriera di comunicazione che oggi, più che mai, ci separa dalla Generazione Z. E dalla loro vita. In queste condizioni, che strumenti possiamo fornire loro per cavarsela?
È questa la convinzione che, nel lontano ottobre 2021, ci ha spinto a creare la rubrica di «Azione», Le parole dei figli, e che ora si ripropone con forza dopo la visione di Adolescence su Netflix, in streaming dal 13 marzo 2025. La serie ha già battuto ogni primato di visualizzazioni, diventando la più vista in 71 Paesi (24,3 milioni di visualizzazioni al 17 marzo, saliti a 66,3 milioni dopo solo 11 giorni dall’uscita). Così, a Il caffè dei genitori, ci ritroviamo a riflettere di nuovo sulla domanda: «Quanto davvero conosciamo i nostri figli?». Ragioniamoci insieme a costo di spoilerare un po’ la trama di Adolescence, che non è basata su uno specifico caso di cronaca ma prende tuttavia spunto da reali crimini perpetrati da giovanissimi, atti di violenza che si registrano ormai sempre più spesso ovunque, come dimostra il caso di Berikon, nel Canton Argovia, di pochi giorni fa.
Alle prime luci dell’alba, l’ispettore capo Luke Bascombe fa irruzione nella casa dei Miller, accompagnato da agenti incappucciati che puntano fucili automatici dopo aver abbattuto la porta. L’obiettivo è arrestare il 13enne Jamie, accusato di aver accoltellato la compagna di classe Katie. La reazione immediata di papà Eddie e mamma Manda è un grido disperato: «Avete sbagliato famiglia!». Eddie, che si spacca la schiena «aggiustando cessi» dalle 6 del mattino fino alle 8 di sera, riesce a guadagnare decentemente solo quando c’è un’urgenza. Cresciuto con un padre che lo picchiava con la cintura, ha sempre cercato (e creduto) di essere un papà migliore. Manda, dal canto suo, non ha mai mancato di preparare panini per i figli, sempre pronta ad accoglierli al ritorno da scuola. Quando Jamie si rifugia nella sua cameretta, lei lo considera al sicuro. Per entrambi lui è quel bambino che si divertiva al parco giochi, seduto in cucina a disegnare per ore, con la faccina sporca di gelato. Come può essere diventato un adolescente che a soli 13 anni «butta via i vestiti sporchi di sangue, ma non le sneakers perché costano troppo»? Che cosa ne sanno loro di incel, redpillati e manosfera? Che cosa ne sa l’ispettore Bascombe che pure ha un figlio, Adam, che frequenta la stessa scuola? Che cosa ne sanno i docenti che corrono qui e là smarriti? E noi genitori cosa ne sappiamo?
Le telecamere non lasciano scampo a Jamie: le immagini lo incastrano. Ma forze dell’ordine e psicologi devono scavare nel movente dell’omicidio, e ciò è possibile solo grazie all’aiuto di Adam. È lui a rivelare al padre, l’ispettore Bascombe, il significato nascosto dietro un post su Instagram e le sue emoji. Ed è così che si spalanca un mondo sconosciuto agli adulti: quello degli incel, gli «involontariamente celibi», maschi convinti che il loro aspetto fisico li condanni all’esclusione dal mondo sessuale. La loro visione della realtà si nutre di simboli: la bluepill (pillola blu) rappresenta l’illusione, l’accettazione passiva della situazione. La redpill (pillola rossa), invece, è la presa di coscienza di una verità scomoda. Chi ha visto The Matrix (1999) ricorderà la scelta di Neo tra le due pillole offerte da Morpheus. Per Jamie, però, tutto si gioca su un’emoji: una dinamite, postata da Katie sotto il suo post, che simboleggia l’effetto della pillola rossa. Un messaggio inequivocabile. Per lui, la redpill è una condanna. L’inevitabile conferma di essere un incel, schiacciato dalla regola dell’«80/20», secondo cui l’80% delle donne desidera soltanto il 20% degli uomini più attraenti. La manosfera è il termine che indica l’insieme di comunità online di incel.
Noi adulti restiamo spettatori di quel post, incapaci di decifrarlo. Così come, forse troppo spesso, osserviamo e perfino monitoriamo la vita dei nostri figli senza davvero conoscerla. Li geolocalizziamo, ma mai come oggi ci sfuggono gli spostamenti della loro mente. Come possiamo allora spiegare agli adolescenti – ci chiediamo, ancora una volta, a Il caffè dei genitori – che una relazione sana non passa da un like sui social? Come possiamo convincerli che non sempre è necessario essere performanti con l’altro sesso (e nella vita) se, come papà Eddie, quando giocano male a calcio distogliamo lo sguardo perché ci vergogniamo? E come possiamo insegnare loro che il rifiuto va accettato? Tra i ragazzi della Gen Z «la vergogna si è capovolta. Non è più il corpo nudo a imbarazzare – la nudità via smartphone è sempre mediata, in differita – ma lo sguardo nudo, privo della barriera dello schermo», scrive lo psicopedagogista Stefano Rossi in Sentimenti MALeducati (ed. Feltrinelli, agosto 2024). Per Jamie, l’umiliazione virtuale diventa la molla che lo spinge a un omicidio reale. Ma non c’è bisogno di arrivare alle conseguenze estreme. Anche nella vita di tutti i giorni dove fallisce la nostra educazione sentimentale, vince la pornografia. Ce lo aveva spiegato già la criminologa Elena Martellozzo in un Caffè delle mamme estivo (23 agosto 2021): «I giovani vedono la pornografia online molto prima di avere esperienze sessuali: il 48% dei maschi prima dei 13 anni, il 48% delle femmine prima dei 15. Scoprono il porno prima del sesso, forse anche prima di aver baciato o abbracciato un partner. E la pornografia trasmette messaggi distorti sui ruoli di genere, rafforzando stereotipi che sono identificati tra le cause della violenza contro le donne».
E anche quando non è patologico, il rapporto con il sesso è spesso complesso. Troppi adolescenti lo evitano: più liberi, sì, ma in ritirata, spaventati dall’idea di esporsi senza filtri (su questo tema, si veda Il caffè dei genitori «Niente sesso, siamo giovani» del 26 agosto 2024).
I genitori di Jamie si aggrappano a frasi che suonano come un’autoassoluzione: «Non potevamo sapere»; «Credevamo di fare la cosa giusta»; «Ci abbiamo provato». Come non immedesimarsi nella loro disperazione? Ma poi mamma Manda arriva alla sola verità possibile, quella che non lascia scampo: «L’abbiamo messo al mondo noi». E alla fine di Adolescence papà Eddie piange a dirotto, stringendo un peluche sul letto di Jamie: «Mi dispiace, ragazzo – sussurra –. Avrei dovuto fare di meglio». Ecco Adolescence non dà giudizi, ma forse ci lascia un messaggio a cui non possiamo più sfuggire: per noi genitori, il tempo dell’autoassoluzione è finito. Dobbiamo davvero cercare di conoscere i nostri figli. Come farlo, però, resta una domanda senza risposte certe. Anche a Il caffè dei genitori, di strade sicure non ne abbiamo ancora trovate.