Donne nella Chiesa, sull’esempio di Marcella

by Claudia

La teologa italiana Cristina Simonelli esamina le possibili prospettive dopo l’elezione di papa Leone XIV

Le Chiese, anche quella cattolica, contengono un’infinita varietà di sfumature, orientamenti, possibilità, tentativi, passi avanti, chiusure, idee nuove, ritorni ecc. In un momento di cambiamento – come può essere l’avvento di un nuovo Papa – abbiamo interrogato Cristina Simonelli, docente di Storia della Chiesa e teologia, già presidente del Coordinamento delle teologhe italiane (vedi www.teologhe.org), anche su temi caldi quali il ruolo subalterno delle donne nella Chiesa, il celibato dei preti, gli abusi ecc.

Ma partiamo da Leone XIV. «Trovo interessante il suo usare termini quali disarmato e disarmante quasi fossero un mantra», dice la nostra interlocutrice. «Prevost li applica a tutto. Dalla pace ai mezzi di comunicazione: “Disarmiamo le parole e contribuiremo a disarmare la Terra”». È una presa di posizione importante, che condivide coi suoi predecessori, perché ci troviamo di fronte all’urgenza assoluta di bloccare le guerre e la corsa agli armamenti. Altrimenti c’è l’abisso». Inoltre, anche questo pontefice ha un passato missionario, fa notare Simonelli, che fa ben sperare in un contesto di scarsa attenzione nei confronti degli «ultimi» della Terra (leggi Trump, suo connazionale tra l’altro). «Leone XIV è l’esempio di un mondo meticcio, mescolato, qual è quello del Nord America (leggi Cazzullo a pag. 19). Di certo non rappresenta quella parte di Chiesa nordamericana rampante che ce l’aveva con Papa Francesco ad esempio per la Laudato si’, la sua enciclica dedicata al tema dell’ambiente, della giustizia sociale e della responsabilità umana verso il creato…».

Bisogna però riconoscere che il suo stile è totalmente diverso da quello di Bergoglio. «Più ieratico», osserva Simonelli. Con la sua prima apparizione pubblica, ad esempio, Leone XIV ha riportato in scena la mozzetta, la mantellina rossa corta col cappuccio, e la stola decorata con croci dorate e ricami alle quali Bergoglio aveva rinunciato, prediligendo abiti semplici, senza ornamenti né simboli liturgici. Però, continua l’intervistata, «non è l’affabilità, la sobrietà o la più o meno compostezza a fare la persona. Considerando il fatto che talvolta gli individui – nei posti di guida – cambiano, anche in meglio. Penso all’arcivescovo salvadoregno Oscar Romero (1917-1980), partito da un’impostazione molto tradizionale, alla prova dei fatti diventò profeta della giustizia e martire (fu ucciso a causa del suo impegno nel denunciare le violenze della giunta militare del suo Paese). Senza dimenticare Giovanni XXIII (1881-1963), molto anziano quando fu eletto Papa. Forse si trattò di una scelta conservatrice. Ma lui, mettendo in atto qualcosa di tradizionale come un concilio ecumenico, rivoltò la Chiesa cattolica (Concilio Vaticano II)».

Torniamo ai 12 anni di Francesco. Si può parlare di una vera apertura della Chiesa? Chances che si continui così? Per la teologa, l’ex Papa «ha portato cambiamenti reali che hanno liberato anche vari spazi di parola; non si può negare che nella Chiesa cattolica ci sia un uso di censura e autocensura molto forte. Però è come se si fosse palesato un linguaggio del cuore che diceva “Dio ama tutti”, “Chi sono io per giudicare?”, “Le donne devono avere più spazio”, “È necessario smaschilizzare la Chiesa” e – proprio accanto – un blocco sul quale Bergoglio non ha voluto intervenire: il blocco dei sistemi di pensiero». Ora, per alcuni durante il suo pontificato sono stati attivati mutamenti che procederanno nel tempo: l’apertura alla sinodalità, alle coppie omosessuali, ai divorziati, risposati e conviventi, la valorizzazione dell’autorità delle donne in Vaticano, la discussione sul diaconato femminile ecc. Simonelli è dell’idea che quei processi possano anche essere soggetti a “regressione” poiché non sono stati fissati ad esempio con leggi canoniche. «È insomma rimasto uno spazio aperto. Come si evolverà è tutto da vedere. Una cosa è certa: la Chiesa cattolica, anche grazie alla forza e alla spiritualità della figura di Francesco, ha riconquistato uno spazio pubblico e simbolico notevole in un contesto complesso. E il ruolo del Papa ha ripreso vigore e centralità. In ogni caso anche nella Chiesa cattolica non è una persona sola a comandare: ci sono collegi, gruppi, istanze partecipative che contano. Da lì possono emergere belle sorprese».

Intanto continua a dominare una visione tradizionale della Chiesa, che ad esempio esclude le donne dagli incarichi rilevanti (diaconato, sacerdozio e via dicendo). «I quadri della Chiesa cattolica sono più maschili di un esercito», dice l’intervistata. «Alla base però ci sono orientamenti diversi, anche tra le donne, ed è un bene, altrimenti torniamo al pensiero unico. Si va dalle posizioni più accese, a quelle medie, a quelle che io definisco anche troppo zuccherose. Per me tutti gli argomenti contrari al coinvolgimento femminile nella leadership ordinata risultano ormai svuotati. Anche l’obiezione che ordinare le donne le clericalizzerebbe: il “clericalismo” non è un destino, neppure per gli uomini, è deriva di un ruolo importante. Comunque la questione non viene posta da molte come l’unica idea possibile. Si tratta di lavorare trasversalmente sulla pace, sull’ambiente, sui rapporti di giustizia, quindi anche sui rapporti di giustizia all’interno della Chiesa. Promuovere un rapporto più dialogico, in movimento, tra chi ha potere effettivo e il resto del gruppo».

Il fatto che gli apostoli fossero solo uomini? Forse non è così vero e se ci si deve attenere ai fatti evangelici allora i preti non dovrebbero essere solo 12 e unicamente ebrei? «Alla fine – osserva Simonelli – è rimasto l’argomento dell’autorità: è così perché sì, perché è di diritto divino. Io sono convinta, senza fare di questo l’unico tema, che sia una discussione importante da portare avanti, anche se conflittuale». L’apertura al diaconato femminile, tra l’altro testimoniato nell’antichità, potrebbe essere una porta di ingresso. Sono in molte a pensare che sarebbe opportuno “però si deve avere pazienza per non essere responsabili di uno scisma”. Ma le generazioni più giovani faticano a capirlo; lo scisma in realtà è già in atto».

Passiamo al tema del celibato dei preti cattolici latini. «Questa è una cosa che capisco ancora meno», afferma l’esperta. «È contro la tradizione. Nella Prima lettera a Timoteo si dice che il vescovo sia una persona perbene, sposata, che ha saputo guidare la sua famiglia. L’imposizione del celibato – tra l’altro con scarsi risultati – risale solo al IV-V secolo in Occidente, mentre in Oriente (stessa Chiesa fino al 1054 d.C.) si è sempre mantenuta la prassi di ordinare uomini sposati. Non si tratta comunque di imporre il matrimonio ai sacerdoti e nemmeno di essere contrari alla vita monastica o al celibato, si tratta di essere contro l’esclusività di questa situazione. L’imposizione del celibato non è nemmeno espressione di buon senso, di fronte alla scarsità di vocazioni del clero, ed è un modo, tra le righe, di esprimere un certo disprezzo per la sessualità e di fare dei vertici della Chiesa un gruppo maschile chiuso (pensiamo ai cardinali in Conclave). Non dico che in tutte le Chiese in cui i sacerdoti sono anche sposati le donne sono molto più avanti. Ma almeno lì c’è la possibilità che visioni diverse si facciano spazio». Simonelli sottolinea poi che la questione del celibato non ha a che vedere con gli abusi, «i quali hanno piuttosto a che fare con uno squilibrio di potere, col patriarcato, lo stesso che porta alla violenza sulle donne nelle famiglie e nelle coppie».

Una madre della Chiesa
Chiediamo infine alla teologa di regalarci l’immagine di una figura che l’ha ispirata. «Metterò un nome tra tanti, Marcella, una romana morta durante il sacco di Roma da parte dei Visigoti (410 d.C.). La sua memoria è conservata nelle risposte date alle sue lettere da Girolamo. Nei testi antichi, non solo cristiani, spesso la presenza delle donne va appunto letta in filigrana, attraverso scritti maschili. Marcella, vedova, era animatrice di un gruppo chiamato Circolo dell’Aventino: donne, ma anche alcuni uomini che si riunivano per leggere e commentare la Bibbia. Pregavano e analizzavano la Scrittura nelle lingue latina, greca ed ebraica. Marcella non era una devota sottomessa e silenziosa ma una figura di grande profondità, autorevolezza e forza. “Se sorgeva qualche disputa a proposito di un testo, si ricorreva al suo giudizio”,​ scriveva Girolamo. Lei rispondeva, ma spesso senza dire che l’opinione era sua, attribuendola a Girolamo o ad altri “per non umiliare il sesso virile e i sacerdoti che l’interrogavano, forse poco propensi a farsi discepoli di una donna”, notava con finezza Girolamo». La morte di questa madre della Chiesa è legata, come detto, a un contesto di guerra. Come in tutti i conflitti – osserva Simonelli – alla devastazione si accompagna il furto e alla rapina lo stupro. In casa di Marcella, ormai anziana, viveva una giovane. I soldati volevano i soldi e la ragazza però Marcella si è messa in mezzo. È morta dopo breve tempo per le violenze subite.