È la fine del World Economic Forum?

I lettori avranno forse sentito parlare nelle scorse settimane di Klaus Schwab, il fondatore del World Economic Forum (WEF) di Davos. Questa assise di coloro che contano nel mondo della politica e dell’economia ha, tra l’altro, il pregio di colmare il vuoto di pernottamenti che, di solito, colpisce le stazioni sciistiche in gennaio, una volta che le vacanze di Natale sono finite. Schwab è stato al centro dell’attenzione, di recente, perché, dopo più di 50 anni, ha lasciato la presidenza del consiglio di fondazione del WEF. Dapprima si è parlato di dimissioni dovute alla tarda età, poi sono emerse dichiarazioni del consiglio stesso stando alle quali invece Schwab sarebbe stato obbligato a lasciare la presidenza perché contro di lui è stata aperta un’inchiesta in seguito a denuncia anonima: avrebbe utilizzato abusivamente fondi del WEF per finanziare viaggi e altre spese personali. La «WOZ», il settimanale di sinistra zurighese, aggiunge anche che egli avrebbe manipolato risultati di studi pubblicati dalla sua fondazione. Staremo a vedere! Non è la prima volta che responsabili di fondazioni vengono sottoposti a inchiesta con accuse di questo genere. Di solito, però, queste inchieste finiscono nel niente. Ma il fatto di cronaca ci dà l’opportunità di parlare del WEF.

Affermare che il WEF sia stato un successo è dire poco. Col passare del tempo questa manifestazione ha infatti riunito sempre di più il Gotha della politica e dell’economia mondiale. Nell’ultimo quarto del passato secolo, per un politico e per un manager che si rispetti era diventato un must. Da un rapporto del Consiglio federale sui costi della sicurezza apprendiamo che quest’anno alla riunione di Davos avrebbero dovuto partecipare 2500 persone, di cui tra i 200 e i 300 capi di Stato e ministri. E circa 400 rappresentanti del mondo della comunicazione. Nel rapporto si trova anche un apprezzamento entusiastico di quella che viene ritenuta «una delle più importanti manifestazioni in materia di politica economica e sociale a livello mondiale». Ma non solo il Consiglio federale, «anche gli abitanti del Comune – si legge sempre in questo rapporto – si sono dichiarati a più riprese favorevoli al WEF e al loro ruolo di ospiti». Sta di fatto, però, che l’allontanamento di Klaus Schwab rischia di gettare una grossa ombra sul futuro della manifestazione. In più di un commento alla situazione venutasi a creare dopo la partenza del fondatore ci si è chiesti se, senza Schwab alla testa, il WEF sarebbe rimasto a Davos o comunque in una sede svizzera.

Per Davos e per Berna non si tratta di una questione senza importanza. Il WEF è oggigiorno un’azienda che occupa, nel mondo, quasi mille persone. Da uno studio dell’Università di San Gallo (basato sull’edizione del 2023) apprendiamo che le ricadute economiche per il comune di Davos si aggirano sui 100 milioni di franchi. Quelle concernenti il resto della Svizzera sono minori, ma non molto lontane da questa cifra. Il WEF ha quindi, specialmente per Davos, un indotto economico importante. Oggi, con la globalizzazione in perdita di velocità, ci si può chiedere, tuttavia, se esso continui ad essere, come sostiene il nostro Consiglio federale, una manifestazione importante. Il cosiddetto «spirito di Davos» conta ancora, per manager e responsabili politici, come contava all’inizio di questo secolo quando un autore critico come John Ralston Saul affermava che a Schwab era riuscito di «creare una versione moderna di una corte, con tutte le caratteristiche della vita di palazzo, ossia assenza di potere, ma speranza di poter esercitare qualche influenza»? Certo Davos continua ad essere importante in Svizzera. Ma nel resto del mondo? Forse hanno ragione coloro che, come aveva fatto Ralston Sau già venti anni fa, stanno prevedendone la decadenza in seguito allo scadimento del concetto di globalizzazione.

Lo spirito di Davos, secondo la formula «insieme ci sforziamo di realizzare un mondo migliore», si basa sulla multilateralità e la promuove. Con il ritorno del nazionalismo, e addirittura del protezionismo, di questo spirito non resta quasi più niente. Per dirla tutta: insieme oggi non si fanno più che piani di riarmo. Così l’allontanamento di Schwab potrebbe addirittura segnare la fine del WEF.

Related posts

Il vizio della democrazia

Un venti centesimi speciale

Airbnb, croce e delizia del turismo nostrano