Il Vertumno del giardino Perego

L’odore dei pitosfori appena dopo l’acquazzone, per strada, all’improvviso, preannuncia il parchetto che stavo cercando. Accentuato dalla pioggia, il profumo ubriacante dei fiorellini biancopanna-crema di questo arbusto sempreverde il cui nome, al plurale, mi fa sempre venire in mente Montale, accoglie il visitatore sulla soglia del giardino Perego. Aperto nel 1941 come parco cittadino, questo pezzetto di giardino rimasto di quello all’inglese dei conti Perego di Cremnago, in origine era il giardino con gli orti curati dalle monache umiliate del monastero di Sant’Erasmo e dove passeggiavano calme le canonichesse regolari lateranensi del convento dell’Annunciata. E in questo lembo di verde sopravvissuto quasi per miracolo, senza fatica adocchio subito, di schiena, l’oggetto del mio peregrinare metropolitano. È la statua tardo settecentesca del dio etrusco del mutamento delle stagioni, la primavera in particolar modo, come pure delle trasformazioni in generale, scolpita da uno scultore di Rancate. E così, in pieno centro, a due passi dal quadrilatero della moda, imbocco il sentiero irregolare disegnato nel 1817 da Luigi Canonica (1762-1844). Un altro mio conterraneo: architetto illustre nato a Tesserete – un paio di chilometri da casa e dove ho fatto le medie – e autore qui a Milano dell’Arena civica, l’ampliamento del palcoscenico della Scala, molti altri teatri, palazzi, opere di urbanismo.

Il camminamento è breve verso la statua del Vertumno, attorniato da rocailles ritrovate: tocco della collaborazione di Canonica con il paesaggista Luigi Villoresi (1779-1823) – con il quale realizza il parco della reggia di Monza dove aveva ideato il teatrino della villa Reale – noto anche come ibridatore di rose. Un signore sudamericano mangia il suo pranzo da una vaschetta in alu sotto il bagolaro, su una panchina un ragazzo scalda con l’accendino un tocco di fumo. Arrivo dal Vertumno monco in pietra di Viggiù, detta anche «La gentile», e incontro il suo sguardo triste. Gli occhi scavati, senza naso come statue più antiche, il muschio tra i riccioli, provato da tutto questo tempo qui fuori ma bello come un Apollo, è opera di Grazioso Rusca (1757-1829). Scultore ticinese non conosciutissimo citato però, pare, in tutte le guide turistiche dei tempi per via di due angeli portamensa nella Cappella Colleoni a Brescia. Di sue opere, in zona, ci sono da vedere, in pietra arenaria, su in cima a Palazzo Rocca Saporiti in corso Venezia, i dodici dei consenti della mitologia romana. E se aguzzate ancora di più la vista, in marmo di Candoglia potete scorgere sul Duomo, una sua guglia raffigurante Sant’Eustachio, oltre a un San Luca evangelista e un bassorilievo con Davide che tiene la testa di Golia sulla facciata sempre del Duomo, del quale, nel 1805, viene nominato protostatuario.

Un moto di pietà e stima mi spinge ad abbracciare con lo sguardo, un pomeriggio capriccioso ai primi di maggio, il suo Vertumno dimenticato tra le fronde di un ippocastano. Abbandonato qui dai Perego che si sono portati via tutte le altre statue che adornavano il loro glorioso giardino, un tempo percorso da un sistema di rogge che si fingevano ruscelli attorno a finti ruderi. Gli tiene compagnia, sempre scolpito in calcarenite oolitica a grana fine grigia-rosetta ora adombrata e inzuppata in parte di pioggia, un cane senza più gamba né muso. Il braccio destro del Vertumno tiene pendula una ghirlanda di fiori cesellati tipo ortensie. Spariti i finti ruderi, falsi ruscelli, la peschiera delle suore, la serra neogotica del Canonica, in questo avanzo di giardino all’italiana prima ritrasformato poi all’inglese ed ex verde claustrale, racchiuso oggi tra via dei Giardini, via Borgonuovo, via dell’Annunciata, resta lui l’unica vestigia di grazia. Oltre agli angoli come scorci di boschi tipici del giardino all’inglese. La divinità etrusca metamorfica, propizia alla crescita della vegetazione, con quel cane accanto, zoppo, il muso mozzo, quasi non è più statua e sembra avere preso qui vita propria.

Senza perderci analizzando il mito di Vertumno tra Properzio e Ovidio, vanno almeno enumerate alcune delle sue diciassette trasformazioni: mietitore di spighe, convitato ebbro, Bacco eccentrico, fauno uccellatore, pastore, venditore di rose, vecchietta. Una signora anziana si siede su una panchina di legno, all’ombra della quercia rossa.

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