Tumore al pancreas, un’evoluzione che preoccupa

I dati del Registro svizzero dei tumori sono chiari: così come in tutti i Paesi industrializzati, in Svizzera, il numero di casi di tumore al pancreas sono aumentati passando dai 4000 casi tra il 1980 e il 1984 ai quasi 8000 tra il 2015 e il 2019. Le previsioni sono ancora più allarmanti, tanto che la tendenza potrebbe far superare l’incidenza del cancro al seno nelle donne. Anche gli Stati Uniti mostrano un’evoluzione simile, con il numero di tumori al pancreas che è passato da 43mila casi nel 2010 a 62mila nel 2020; seguendo l’attuale curva di questa allarmante incidenza, la proiezione sarebbe vicina a 90mila nel 2030. Queste cifre in rialzo hanno condotto i professori Jean Louis Frossard (Servizio di gastroenterologia e epatologia dell’HUG, Ginevra) e Darius Moradpours, (suo omologo al CHUV di Losanna) a chiedersi se questo tumore rappresenti un’epidemia oncologica in divenire.

Parte dell’inquietudine risiede nella natura silente del suo sviluppo iniziale che, malgrado un notevole aumento delle conoscenze scientifiche e dei progressi nella gestione multidisciplinare, è spesso diagnosticato tardivamente e il suo esito si rivela ancora troppo sovente fatale, nel giro di pochi mesi: «Una delle particolarità insidiose del cancro del pancreas è il suo notevole potere metastatico non appena il tumore primario misura più di 5 millimetri». I numeri del carcinoma pancreatico e le sue cause multifattoriali sono stati tema del nostro incontro con il professor Pietro Majno-Hurst, specialista in chirurgia viscerale presso EOC, che così ne riassume i principali fattori causali predisponenti: «Agenti tossici fra cui primeggiano fumo e alcol, a cui si aggiunge una componente genetica nel 10% dei casi. Dobbiamo poi considerare il sovraccarico ponderale e l’obesità, così come probabilmente è confermata co-responsabile la resistenza all’insulina (che poi può sfociare nel diabete di tipo 2)». Secondo lo specialista: «Stiamo per poter aggiungere il tumore del pancreas alle malattie che sono legate all’alterazione del nostro stile di vita. Negli ultimi 50 anni abbiamo rimpiazzato la nostra attività fisica con i trasporti motorizzati, il sonno con altre attività ricreative o lavorative, il cucinare genuinamente a casa con cibi processati industrialmente e che contengono troppo sale, zucchero e grassi. Non si sottovaluti che la qualità del cibo e lo stress sono fattori che favoriscono la resistenza all’insulina, elementi sui quali possiamo agire solo con comportamenti individuali per supplire a quella che dovrebbe essere un’azione sistemica a favore della prevenzione, oggi purtroppo carente, o addirittura ostacolata da interessi economici».

A completare il quadro, uno studio nazionale francese di regressione ecologica (2011 – 2021) ha individuato fra le cause ipotizzate del tumore pancreatico una serie di pesticidi ampiamente usati che potrebbero spiegare l’aumento dell’incidenza. L’ipotesi trova conferma nelle parole del professor Majno che completa il quadro delle cause citando la pancreatite cronica come un fattore di rischio importante per il cancro del pancreas. Per il 50% si può ricondurre a delle pancreatiti acute recidivanti, mentre un altro 50% può emergere lentamente, talvolta senza fattori predisponenti evidenti diversi da fumo e alcol («un vero e proprio veleno per questi pazienti»): «La pancreatite cronica crea uno stato infiammatorio che aumenta il rischio di tumore. Sono pazienti che bisogna seguire costantemente per riuscire a individuare precocemente l’eventuale insorgenza di cancro».

L’articolo dei professori Jean Louis Frossard e Darius Moradpours indica, di fatto, la diagnosi precoce come uno degli strumenti migliori per una buona prognosi: «Il monitoraggio della glicemia in alcune popolazioni a rischio, o anche il test dell’emoglobina glicata, potrebbero essere un marcatore di interesse per la diagnosi precoce del cancro al pancreas». Dal canto suo, il professor Majno si dice fiducioso sull’evoluzione delle cure multidisciplinari specialistiche: «Grazie agli enormi progressi della medicina, i mezzi per combattere il cancro al pancreas sono aumentati: quindici anni fa la sopravvivenza a cinque anni era del 5%, oggi per molti pazienti possiamo parlare del 30-40%, o di percentuali ancora più alte in quelli che seguiamo per pancreatite cronica, per delle cisti del pancreas o per una predisposizione familiare (più di 2 casi in famiglia)». È certo che, come per altri tumori, si giungerà alla guarigione: «Ad esempio, nel tumore del seno siamo giunti ad oltre il 90% di guarigione». Ad ogni modo, la medicina multidisciplinare oggigiorno personalizza per ciascun paziente gli obiettivi delle terapie che, peraltro, oltre a chirurgia e radioterapia si avvalgono pure di nuovi prodotti altamente efficaci (farmaci e chemioterapie mirate). Anche la ricerca scientifica galoppa verso nuovi orizzonti ed è naturale citare la semaglutide (Agonista GLP-1), il farmaco per i pazienti con diabete di tipo 2 e per la cura dell’obesità che tanto ha fatto discutere negli ultimi tempi: «Non dimentichiamo che l’obesità è un fattore di rischio molto incisivo nello sviluppo di tumore al pancreas, così come l’insulinoresistenza; questo farmaco potrebbe dunque fungere da fattore protettivo allo sviluppo del cancro al pancreas come da altri tumori, ma dobbiamo aspettare più dati a lungo termine».

Alcuni studi recenti condotti su pazienti con il diabete di tipo 2 hanno dimostrato che quelli trattati con semaglutide hanno probabilità più basse di contrarre dieci dei tredici tumori associati all’obesità rispetto a coloro che invece assumevano insulina. Nello specifico, il rischio di sviluppare un tumore è stato ridotto della metà per alcuni tumori specifici come cancro al pancreas e alla cistifellea. Ciò significa che questo farmaco divenuto popolare per perdere peso potrebbe avere effetti protettivi sullo sviluppo di alcune neoplasie fra le quali quella pancreatica: «Questo effetto è già stato dimostrato per la chirurgia bariatrica. Sono inoltre state verificate altre proprietà positive degli GLP-1 agonisti sul piano neurologico e della salute comportamentale, con un diminuito rischio di convulsioni e di dipendenza da alcol, cannabis, stimolanti e oppioidi, e forse anche un ruolo nella prevenzione della malattia di Alzheimer». È interessantissimo, perché i suoi effetti dovrebbero aiutare anche a smettere di fumare e consumare alcol: «Non dimentichiamo che si sottovaluta la nocività dell’alcol per lo sviluppo dei tumori: una bottiglia di vino equivale a fumare dieci sigarette per l’uomo, e venti per la donna». Concludendo, riflettiamo sul fatto che contrastare questa epidemia oncologica in divenire comporta una serie di azioni «possibili» individuali e collettive, verso uno stile di vita sano.

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