La ritirata di Trump dalla guerra in Ucraina

Dalla richiesta di una tregua immediata, al patrocinio di un negoziato tra russi e ucraini, fino alla prospettiva di un vertice per «uscire dallo stallo» con Vladimir Putin, per poi tornare a minacciare una «linea rossa» superata la quale gli Stati Uniti se ne laveranno le mani: la diplomazia di Donald Trump nei confronti della guerra in Ucraina continua a procedere a zig-zag, ora allontanandosi, ora avvicinandosi alle posizioni del Cremlino. Dopo una accelerazione nelle settimane scorse, quando perfino molti europei scettici avevano cominciato a parlare di prospettive di pace, e la borsa di Mosca era salita scommettendo sulla tregua, il negoziato è tornato su un binario morto e, nonostante l’ottimismo dichiarato dal presidente americano, non è chiaro dove possa approdare ora. Che un compromesso tra Mosca e Kiev non aveva buone probabilità di riuscita era chiaro ancora prima dell’arrivo di Trump alla Casa Bianca, ma la determinazione del leader repubblicano di attribuirsi il merito di aver fatto finire la guerra ha spinto comunque gli avversari a una trattativa. Un curioso esempio di una politica trascinata da esigenze mediatiche: Putin e Zelensky hanno lanciato e rilanciato iniziative diplomatiche per manifestare ciascuno la propria disponibilità a fare la pace.

L’incontro a Istanbul, il 16 maggio scorso, ha evidenziato in poche ore una totale incompatibilità di vedute: la delegazione russa ha portato le stesse pretese territoriali dei mesi scorsi, esigendo l’annessione alla Russia di quattro regioni ucraine, inclusi territori che le truppe russe non hanno nemmeno occupato. All’ovvio rifiuto degli ucraini, il capo della delegazione russa Vladimir Medinsky ha replicato che «la prossima volta chiederemo cinque regioni» e ha promesso che la Russia «può continuare a combattere per l’eternità». Intanto a Mosca Putin prometteva davanti alle telecamere una inevitabile riconciliazione futura con «la parte ucraina del popolo russo», e le bombe continuavano a cadere con agghiacciante puntualità sulle città ucraine. Ma dopo due ore di telefonata con il capo del Cremlino, Trump sembra aver rinunciato a tutte le condizioni che lui stesso aveva posto: nessuna tregua immediata, soltanto la promessa di un negoziato «da iniziare subito», senza specificare se si tratta dello stesso negoziato fallito a Istanbul soltanto 48 ore prima, o di un altro formato tutto da reinventare.

Il segretario di Stato americano Marco Rubio ha tolto dal tavolo anche la promessa di nuove sanzioni a Mosca, per «non disincentivare i russi dal trattare». Una «autorizzazione a Putin per lanciare una nuova offensiva», come la interpreta l’ex collaboratore del Cremlino, il politologo in esilio Abbas Gallyamov, secondo il quale l’assenza di nuove pressioni economiche sulla Russia verrà interpretata a Mosca come una luce verde per provare a estendere le sue conquiste in Ucraina. Ma il passaggio più enigmatico e inquietante del resoconto trumpiano della telefonata – pieno di ottimismo, contrariamente al riassunto estremamente prudente sulla «possibilità di una tregua per un determinato periodo in caso di adempimento a una serie di condizioni», offerto da Putin – riguarda la promessa di un negoziato «tra le due parti, che conoscono meglio di chiunque la situazione».

Secondo l’analista ucraino Victor Andrusiv, è il segno della «ritirata di Trump» da quella che continua a definire «una guerra che non è nostra». Constatato il fallimento del suo progetto di «far finire la guerra in 24 ore», il presidente americano potrebbe puntare ora a uscirne, lasciando il peso del conflitto sulle spalle degli europei. Intanto, potrebbe proseguire i contatti appena ristabiliti con Mosca per esplorare una serie di altri dossier, incluso l’ingresso degli investitori americani in progetti energetici russi, e altri «business» di cui l’emissario speciale del Cremlino Kirill Dmitriev avrebbe discusso con l’inviato di Trump Steve Witkoff. Far cancellare l’Ucraina e la sicurezza europea dalle priorità di Washington, spaccando il fronte comune occidentale che sembrava essersi appena ricompattato, è un obiettivo che Putin inseguiva da moltissimo tempo. Il suo calcolo però si è capovolto: per anni la propaganda russa ha cercato di fomentare il sentimento anti-americano in Europa, mentre ora sono semmai gli Usa a voler voltare le spalle al Vecchio Continente. Che appare invece molto più determinato e motivato a opporre resistenza alla minaccia russa, tra i piani di rilanciare la difesa europea e il sostegno sempre più convinto a Zelensky.

Il giorno dopo la telefonata tra Trump e Putin, l’Unione europea ha varato il 17.mo pacchetto di sanzioni contro Mosca, nonostante il passo indietro dell’America. Che, secondo Andrusiv, continuerà comunque a inviare aiuti militari all’Ucraina, se non altro per aumentare la sua quota nell’accordo sulle risorse minerarie ucraine. Anche Rubio ha confermato, che le armi per Kiev continuano ad arrivare, e per ora non si pensa di interrompere l’assistenza, anche attingendo dagli arsenali degli altri alleati Nato. Un flusso di aiuti che potrebbe aumentare se Trump decidesse di aumentare la pressione per costringere la Russia a negoziare, come lo stesso presidente americano ha detto di poter fare. Per il momento però il nuovo zig-zag trumpiano ha ridotto le chances della diplomazia: il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha respinto l’idea di una tregua e ha ripetuto il mantra del Cremlino sulla necessità di «eliminare le cause all’origine del conflitto» (cioè un’Ucraina che sceglie lo schieramento occidentale). Visto da qui, perfino un «congelamento» della guerra lungo la linea del fronte attuale rimane improbabile. La Russia sta ammassando truppe sul confine nord-est dell’Ucraina, e l’agenzia Bloomberg cita fonti moscovite secondo le quali Putin è convinto di poter sfondare le difese ucraine nel Donbass, per poi accettare una nuova trattativa in autunno, a condizioni che spera siano più favorevoli per lui. Un piano non facile da realizzare, anche perché non farebbe che aumentare la convinzione dell’Ue di avere a che fare con una minaccia che tocca l’Europa da vicino. Mentre il «Wall Street Journal» evoca di un nuovo incontro tra Russia e Ucraina che potrebbe tenersi in Vaticano a metà giugno, con l’America presente. Staremo a vedere.

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