Donald Trump ne fa un’altra delle sue. Postando su X, e senza che prima le parti ne dessero l’annuncio ufficiale, il cessate il fuoco tra India e Pakistan: «Dopo una lunga notte di colloqui mediati dagli Stati Uniti, sono lieto di annunciare che l’India e il Pakistan hanno concordato un cessate-il-fuoco completo e immediato. Congratulazioni a entrambi i Paesi per aver dato prova di buon senso e grande intelligenza». E viene prontamente smentito dal ministro degli Esteri indiano Vikram Misri secondo cui la fine delle ostilità è stata discussa tra il direttore generale delle operazioni militari pakistano e la sua controparte indiana senza mediazione di terzi. La faccenda sarebbe a quanto pare andata così: gli americani avrebbero ricevuto «informazioni credibili di intelligence» sul fatto che qualcosa di tragico stava per accadere. A quel punto, il vicepresidente J. D. Vance avrebbe telefonato al premier indiano Modi mentre il segretario di Stato Marco Rubio chiamava Islamabad e i due Paesi sarebbero stati invitati a trovare una «soluzione onorevole» per entrambi.
Il Pakistan, che a quanto pare aveva come da copione agitato lo straccio rosso della guerra nucleare, chiamava Nuova Delhi, ringraziava gli americani e proclamava immediatamente vittoria. Cosa abbia vinto esattamente non è dato sapere, ma tant’è: il capo dell’esercito pakistano generale Asim Munir, scomparso dai radar mentre gli indiani bombardavano campi di addestramento terroristi e postazioni militari, si è auto-promosso «maresciallo di campo» (il grado più alto nell’esercito, attribuito in Pakistan prima di lui soltanto al dittatore Ayub Khan) e tutti sembrano felici nel «Paese più pericoloso del mondo». Felici soprattutto, si dice, dei due miliardi e mezzo di dollari stanziati al Pakistan dal Fondo monetario internazionale proprio durante le giornate in cui si combatteva per reagire a un atto di terrorismo, l’ennesimo, commesso ai danni dell’India da jihadisti legati a Islamabad. Trump però, che non è uomo da essere smentito, rincarava la dose. Con un altro post, all’inizio: «Sono molto orgoglioso della leadership forte e incrollabile dell’India e del Pakistan, che hanno avuto la forza, la saggezza e il coraggio di comprendere appieno che era giunto il momento di porre fine all’attuale aggressione che avrebbe potuto causare la morte e la distruzione di così tante persone e cose. Milioni di persone innocenti avrebbero potuto perdere la vita! Le vostre azioni coraggiose hanno reso ancora più grande la vostra eredità. Sono orgoglioso che gli Stati Uniti abbiano potuto aiutarvi a giungere a questa decisione storica ed eroica. Sebbene non sia stato nemmeno discusso, aumenterò in modo sostanziale il commercio con entrambe queste grandi Nazioni. Inoltre lavorerò con voi per vedere se si potrà arrivare a una soluzione riguardo al Kashmir». E poi in conferenza stampa, prima alla Casa Bianca e poi in Qatar: conferenze in cui dichiarava di aver costretto i due Paesi alla pace ricattandoli con la minaccia di tariffe e allettandoli con incentivi al commercio, ribadendo il suo ruolo e offrendosi di mediare sulla «questione del Kashmir» che «va avanti da almeno un migliaio di anni».
Risate a scena aperta. Il Pakistan è stato creato difatti, su base religiosa, nel 1947. E dal 1947 reclama presunti diritti su uno Stato, il Kashmir, che aveva scelto di rimanere indipendente pur essendo a maggioranza musulmana e che decise di annettersi all’India proprio in seguito a un’invasione pakistana. Ma post e dichiarazioni sono soltanto in apparenza fanfaroni e poco accorti, frutto del temperamento impetuoso, per usare un eufemismo, del presidente americano. Sollevano difatti un paio di questioni non di poco conto che hanno fatto rizzare i capelli a Nuova Delhi e che costituiscono probabilmente la «libbra di carne» reclamata da Islamabad (oltre ai soldi dell’Fmi) per non perdere completamente la faccia durante il conflitto e far finire una guerra che preoccupava l’Occidente. Le dichiarazioni di Trump stabiliscono anzitutto l’equivalenza tra l’India, una democrazia, e il Pakistan che, come Washington sa perfettamente, alleva e sponsorizza terroristi oltre a essere governato di fatto da una dittatura militare. E internazionalizza, come chiedono da anni i pakistani, la famigerata «questione del Kashmir»: che per l’India non è più una «questione» almeno dal 2019, quando Jammu and Kashmir e Ladakh sono diventati territori dell’unione. Per il Kashmir, di cui il Pakistan ancora detiene la parte invasa dopo averne ceduto un pezzo alla Cina, Islamabad ha combattuto (e perso) quattro guerre e ha fondato, allevato, nutrito e addestrato una pletora di gruppi terroristici al solo scopo di colpire l’India e farla «sanguinare con mille tagli».
Sul Kashmir l’India mantiene da anni una posizione cristallina: si tratta di una questione interna, visto che il Kashmir è parte integrante dell’India, che deve essere risolta al massimo con colloqui bilaterali. Nessun colloquio è possibile, però, fino a che il Pakistan non cesserà di finanziare e armare gruppi terroristici. Secondo gli osservatori, la nuova tenerezza di Trump per Islamabad rientra nella schizofrenica strategia americana degli ultimi anni verso l’India: alleata necessaria a contenere la Cina, ma poco propensa ad allinearsi senza discutere alle politiche di Washington. Mantenere la spada di Damocle dei jihadisti pakistani sulla testa di Nuova Delhi farebbe il paio, dicono, con l’avere propiziato allo stesso scopo il colpo di stato islamista in Bangladesh. E mentre Islamabad celebra la vittoria, l’India annuncia un cambiamento decisivo nella sua dottrina politico-militare: ogni futuro attacco terroristico sarà trattato da Nuova Delhi come se fosse una dichiarazione di guerra. Curiosa nota a latere: Ismail Royer, un ex jihadista con legami con il gruppo terroristico pakistano Lashkar-e-Toiba (LeT), è stato nominato membro del Comitato consultivo della Commissione per la libertà religiosa della Casa Bianca. Secondo i rapporti di polizia, Royer, che è stato in galera negli Usa per tredici anni, sarebbe stato addestrato in un campo della LeT in Pakistan nel 2000 e sarebbe stato coinvolto in attacchi in Kashmir prima di diventare una figura chiave della «Virginia Jihad Network», gruppo americano di fiancheggiamento a terroristi pakistani. Si tratta soltanto di un caso?