Gli Stati Uniti stanno cercando in Europa qualcuno che si accolli la difesa del Continente in modo da permettere loro di concentrarsi sulla Cina. L’idea è di ridurre considerevolmente lo schieramento convenzionale nei Paesi Nato, mantenendo l’ombrello nucleare. Le truppe liberate dall’impegno europeo potrebbero essere rischierate in Asia o riportate a casa. L’importante è che responsabilità e costi della difesa europea ricadano molto meno su Washington e molto più sui singoli Stati euroatlantici. È una rivoluzione copernicana, di cui si vedono già le prime mosse americane e qualche accenno di reazione da parte degli europei, se non altro verbale.
Il cambio di approccio Usa alla Nato, ovvero alla struttura militare dell’impero americano in Europa costruito dal 1945 in avanti, parte dal tentativo di normalizzare i rapporti con la Russia. Non più Nemico strategico e ideologico, quindi collante della Nato. Semmai fattore di potenza da staccare dalla Cina. Ne consegue che noi europei non abbiamo urgenza di essere protetti da attacchi russi, visto che Mosca non è nemmeno in grado di prendersi il grosso dell’Ucraina. A tenerla a distanza di sicurezza bastano l’ombrello nucleare Usa e il riarmo convenzionale dei principali Stati «alleati», Germania e Turchia in testa. La prima responsabile per l’Europa centrale, la seconda per quella meridionale.
Idea abbastanza balzana. La Turchia è già una notevole potenza militare, destinata prima o poi a dotarsi di un arsenale nucleare. Ma certo non per servire l’equilibrio europeo né tantomeno gli interessi Usa. È un impero in riformazione. Nominalmente nella Nato, di fatto autocentrato. Deciso a fissare in proprio la sua strategia, con agilità. Il suo attivismo nella mediazione fra Russia e Ucraina, nemici da cui si ostenta equidistante, ne è un esempio. Ma la questione centrale per tutti gli europei rimane quella tedesca. Se gli americani sono sbarcati due volte nel nostro Continente durante la guerre mondiali – la seconda volta per restarci – è perché i tedeschi stavano per impadronirsene. Il grande tabù della geostrategia americana era (rimane?) il timore che nella massa eurasiatica emergesse una potenza o un’alleanza di potenze avversa allo zio Sam, quali un’intesa russo-tedesca o peggio sino-russo-tedesca. Eppure dal 1945 le distanze fra Russia e Germania non sono mai state così ampie come oggi. E la Cina ha altre priorità che il dominio dell’Europa.
Il problema della Germania non è la sua potenza ma la sua debolezza, che si innesta sulle sue incertezze strutturali. I tedeschi continuano a temere sé stessi come nessun altro popolo al mondo. O ad averne abbastanza della germanofobia. In ogni caso, non hanno trovato un equilibrio fra queste due pulsioni. La questione dell’AfD è la cartina di tornasole del caso Germania. Quello che oggi è il secondo partito tedesco, capace di raccogliere dieci milioni di voti alle ultime elezioni e di scavalcare in molti sondaggi attuali la coppia CDU-CSU, secondo il servizio segreto interno è «estremista di destra». Nel gergo costituzionale germanico, «estremista» equivale a sovversivo. Questa qualifica potrebbe spingere la Corte costituzionale di Karlsruhe a mettere fuori legge l’AfD. In nome della «wehrhafte Demokratie», ossia il dogma della «democrazia protetta». Regime assai peculiare che deriva dal timore che l’«ordine liberaldemocratico» venga sopraffatto da forze antidemocratiche, nel caso neonaziste o quasi. E questo Paese dovrebbe essere il perno della sicurezza nel cuore dell’Europa?
Trascuriamo il fatto che malgrado le roboanti affermazioni del debolissimo cancelliere Merz sulla decisione di fare della Bundeswehr la «principale potenza militare in Europa» e di stanziare a questo scopo centinaia di miliardi di euro, ci vorrebbe almeno un decennio per raggiungere l’obiettivo. Oltretutto, solo una quota risibile dei giovani tedeschi si dice disposto a morire per la patria (vale per quasi tutti gli europei a ovest della Polonia). Il provocatorio discorso del vicepresidente Usa J. D. Vance a Monaco, in febbraio, è rivelatore della preoccupazione che gli europei in generale e i tedeschi in particolare non siano in grado di assumersi l’onere che Washington vorrebbe trasferire sulle loro spalle – e sui loro bilanci pubblici. Si aggiungano le recenti osservazioni del segretario di Stato Marco Rubio sulla «tirannia travestita» che minaccerebbe la Germania causa squalifica dell’AfD e si avrà la misura di quanto improbabile sia l’obiettivo di Trump.
Resta il fatto che se gli americani si allontanano da noi dovremo comunque, volenti o nolenti, assumerci responsabilità che abbiamo sempre schivato e che non sembriamo pronti a considerare cogenti. E poiché restiamo un Continente diviso, con 44 Stati (computo Onu) di cui 30 nella Nato, ciascuno con storie, culture e tradizioni proprie, immaginare una strategia comune è impossibile. Fino a ieri ci hanno tenuto più o meno insieme l’America e la minaccia russa – rossa o putiniana. E adesso? Il monito di Vance, secondo il quale il vero problema per noi non è la Cina o la Russia ma siamo noi stessi ha qualche fondamento. Gli ottant’anni di egemonia americana potrebbero passare alla storia come una lunga parentesi nei secoli di rivalità e guerre fra europei.