Quando l’autore è ChatGPT: i dilemmi etici legati all’AI

Recentemente, mentre stavo completando un Master presso un’università inglese, ho notato come gli studenti ricevessero frequenti e-mail in cui li si esortava a evitare l’impiego di ausili riconducibili all’IA (Intelligenza Artificiale) per redigere i lavori scritti richiesti dai vari tutor nel corso dell’anno. Non solo: veniva più volte specificato che tali strumenti non dovevano essere utilizzati neppure per pianificare la struttura o stesura definitiva di un qualsiasi scritto – e si sottolineava anche come, nel caso uno studente avesse deciso di contravvenire a tale regola, la direzione universitaria lo avrebbe comunque scoperto, dato che disponeva di nuovissimi software in grado di riconoscere rapidamente un testo redatto dall’IA.

Sebbene io non abbia mai, personalmente, fatto uso di nessuno strumento del genere di ChatGPT, già all’epoca ebbi la sensazione che tali divieti fossero quantomeno ingenui; perché se è vero che esistono programmi in grado di riconoscere all’istante un testo prodotto dall’intelligenza artificiale, è altrettanto vero che (almeno teoricamente) basterebbe riscrivere interamente tale testo, parafrasandone il contenuto, per aggirare simili strumenti di controllo. In altre parole, mi riesce difficile credere che sia davvero possibile disarmare questa sorta di ipertrofico «grande fratello», ormai entrato a far parte delle nostre vite in modo pervasivo quanto inaspettato.

Del resto, ricordo perfettamente lo sgomento da me provato la prima volta che mi è capitato di imbattermi in una pubblicità particolarmente insistente, che da qualche settimana spopola online: mostra una casalinga impegnata a tessere le lodi della sua nuova attività part-time, la quale le permette di guadagnare somme ragguardevoli su Amazon vendendo libri («non certo scritti da me, io non sono una scrittrice») «firmati» in pochi minuti dall’intelligenza artificiale – e pronti per essere acquistati sui vari marketplace virtuali dai lettori (i quali, spesso, scoprono solo dopo l’acquisto come dietro l’autore si celi, in realtà, un cervello elettronico). Sì, perché molti nuovi generatori di testo IA sono (apparentemente) in grado di redigere in tempi irrisori interi romanzi o volumi di saggistica: è sufficiente offrire al sistema un prompt, ovvero uno spunto o domanda da cui partire, e il gioco è fatto.

Ma allora, quale futuro attende noi professionisti – gli obsoleti scrittori, poeti, studiosi, giornalisti e creativi dei tempi andati? In quale modo potremo rimanere indispensabili in un mondo in cui il valore, la considerazione stessa riservata a uno scritto, sono subordinati alla sua rapidità di esecuzione o facilità di fruizione? È chiaro che nessuno di noi creativi «vecchio stampo» potrebbe (o vorrebbe) mai competere con la velocità con cui, partendo dall’istantanea elaborazione di tutto lo scibile reperibile sul web e altrove, uno strumento quale ChatGPT può produrre un testo.

Certo, gli stessi sviluppatori dei servizi di scrittura basati sull’IA sono i primi a sottolineare come qualsiasi opera generata da tale tecnologia debba in ogni caso essere rivista e corretta da un essere senziente, così da fornirle una dimensione più autentica e «umana» e rimediare alle incongruenze grammaticali da cui un tale prodotto sarà inevitabilmente affetto; eppure, ciò non basta a scoraggiare chi vede in questo mezzo l’incarnazione dell’antico sogno della «massima resa con il minimo sforzo».

Così, diventa fin troppo facile dimenticare come l’IA sia totalmente asservita alle informazioni generiche reperibili nei suoi database, che non è in grado di selezionare con spirito critico ma semplicemente mastica e rigurgita, senza alcun processo di rielaborazione mediato dall’esperienza o dal mestiere – né, tantomeno, dall’empatia o emotività. Anche per questo, sarebbe utile ricordare agli instancabili promotori di tale tecnologia come la creatività umana sia comunque destinata a rimanere irrinunciabile e imprescindibile prerogativa del vero lavoro intellettuale; e la speranza è che tale realtà, benché apparentemente scontata, non venga mai surclassata dalle irrealistiche esigenze commerciali e produttive che oggigiorno governano un mercato sempre più spietato.

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