Tania, colei che ha amato dandosi illimitatamente

[Segue dal numero 18 di «Azione»]. Dopo l’arresto di Gramsci, Tania rinuncia alla propria vita. Al lavoro, alla casa, e alla salute (polmoniti, flebiti, ascessi e infezioni la costringono spesso in ospedale): la salute declinante di «Nino» le appare più importante della sua. Lo provvede di dolci, panettoni, indumenti caldi, mutande di lana, e libri, perché possa studiare e scrivere. Gli fa visita – a Milano e poi, dopo il processo al Tribunale Speciale e la condanna, a Turi, vicino Bari. Gli incontri sono spesso deludenti e burrascosi. Lui, ulcerato dall’insonnia, dalla reclusione e dalla solitudine, aspira allo stoicismo ma è diffidente, irritabile, sospettoso. Le lettere lunghe e vivaci che lei gli scrive in bell’italiano, gli sono indispensabili, ma gli causano anche fastidio e collera. Spesso la tratta con asprezza e brutalità, la rimprovera di essere impulsiva, ingenua, disordinata, «incapace nelle cose pratiche», la accusa di danneggiarlo, confessa «una terribile sardesca voglia di avere in mano un nodoso bastone». Ma né le offese né l’indifferenza alle sue sommesse richieste di comprensione la scalfiscono. Tania non sa «aprirsi». Per poter «gustare la vita con la maggiore intensità», sa solo «vivere al di fuori del proprio io»: darsi – illimitatamente. Questa è l’unica forma di amore che conosce.

Gli Schucht, e anche Gramsci, insistono perché li raggiunga in Russia (Giulia sta male, la situazione è difficile). Ma lei si è assunta una missione, e non organizza mai il viaggio. Cerca di migliorare le condizioni di detenzione di Nino, si illude che sarà liberato, per uno scambio di prigionieri, o per l’amnistia del 1932. Ma il regime non lo lascia, e nemmeno il partito lo vuole libero. Le porte della cella si schiudono solo quando la lesione tubercolare, l’arteriosclerosi, l’ipertensione e l’uremia sono a uno stadio così avanzato da esigere il ricovero in clinica.

Nel 1935, Tania va a trovarlo alla Cusumano di Formia tutte le domeniche (salvo quando è lei stessa in ospedale), e infine alla Quisisana di Roma. È con lui quando, troppo tardi, gli concedono la libertà vigilata. E nell’agonia, il 27 aprile 1937. È Tania che, dopo aver discusso coi funzionari del Ministero degli Interni, fa prendere le fotografie della salma, e il calco del volto e della mano. È l’unica a partecipare al suo funerale, insieme al fratello Carlo Gramsci e alla forza pubblica. È la «sorella» che, come Antigone, si occupa della sua sepoltura. Fa deporre le ceneri di Gramsci nella cassettina di zinco e più di un anno dopo, nel settembre del 1938, le trasla al cimitero acattolico di Testaccio. Solo a novembre, quando – messe in salvo le preziose carte di Gramsci, concluso anche il lavoro sull’urna e sul chiusino della tomba – non può fare più nulla per lui (che ritiene tradito anche dai suoi compagni), accetta di lasciare l’Italia.

Torna in Unione Sovietica – un Paese che non conosce, di cui ignora la nuova morale, le pratiche del potere e del terrore stalinista. Non ha vissuto le tre Rivoluzioni (del 1905 e del 1917, marzo e ottobre), non è mai stata bolscevica. Si consegna, di sua volontà, al «manicomio» della sua famiglia e dell’Urss. Ai figli di Antonio, che non lo hanno mai conosciuto, poco prima di partire scrive che torna per portare loro l’affetto del padre. Vi parlerò di lui, e voi capirete quanto la sua vita, il suo sacrificio e il suo pensiero siano stati e saranno importanti per tutta l’umanità.

A Mosca vorrebbe insegnare storia e filosofia, ma vive di traduzioni, lavorando in casa. Ha nostalgia dell’Italia e si consola con la musica. Detesta le menzogne, l’ignoranza e la meschinità. Critica e deride le idiozie ideologiche del regime, come a nessuno è concesso. La salva probabilmente la protezione occulta di Togliatti. Rimane libera, indipendente e anticonformista. I comunisti italiani in visita, intimiditi dalla sua immensa cultura, la considerano «una donna borghese».

Nel 1941, quando Mosca è minacciata dall’invasione nazista, evacua con Genia, Giulia e la madre Lula a Frunze, in Kirghizistan, dove poi le raggiunge Giuliano Gramsci. Vi muore nel 1943 – di «pellagra», secondo il nipote. O forse di tifo. Insomma, di stenti e privazioni: le malattie dei poveri. Tania l’italiana è sepolta in quella città dell’Asia centrale, oggi Biškek. Ma non ho trovato la sua tomba. Il custode del cimitero non sapeva chi fosse, Tatiana Schucht.

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