Una Pentecoste di grande musica

Chissà, magari suonerà Brahms anche questa volta, nonostante sia Britten l’autore con cui si presenta come solista. Julia Fischer è una delle violiniste più talentuose, appassionate e appassionanti degli ultimi decenni; almeno da quando, correva l’anno 1995, ad appena dodici anni vinceva il concorso Menuhin e il leggendario violinista iniziò a suonare spesso con lei, come fecero direttori quali Maazel, Temirkanov, Rattle, Eschenbach, Tate. E da stella assoluta era stata accolta dal pubblico dell’Orchestra della Svizzera Italiana quando si era presentata al Lac per interpretare il Concerto in re maggiore di Brahms; fu un’esecuzione travolgente, così come trionfali furono le ovazioni che il pubblico luganese le tributò.

La quasi quarantaduenne bavarese (li compirà il 15 giugno) illuminerà il «Triduo di Pentecoste» dell’OSI; il primo giorno, 6 giugno, Jam Session con i musicisti dell’orchestra, band e Markus Poschner, che sarà sul podio anche nelle due successive serate: il 7 accompagnando la Fischer nel Concerto di Britten, incastonato tra le danze sinfoniche da West Side Story di Bernstein e la seconda sinfonia di Brahms, l’8 per intonare i Carmina Burana di Orff con i cori amatoriali della Svizzera Italiana; un’impresa coraggiosa e ambiziosa, che vedrà il palco del Lac affollato da trecento coristi; un appuntamento monumentale e spettacolare, popolare e di grande impatto territoriale, che per tanti sarà anche l’occasione di scoprire una musica ricchissima, che è ben più e ben oltre il celeberrimo, stentoreo «O Fortuna» iniziale, utilizzato in tanti film e pubblicità.

Il momento però più rilevante dal punto di vista squisitamente artistico rimane quello mediano, innanzitutto per la presenza della Fischer. La quale, come già fatto in passato, e Poschner consenziente, potrebbe suonare non solo Britten, ma anche Brahms. «Ogni tanto mi piace, dopo aver suonato un Concerto, sedermi tra le fila dei violini dell’orchestra e affrontare il brano che segue nella seconda parte. Ci sono tanti aspetti positivi in questa “licenza”: innanzitutto è divertente poter affrontare certi grandi capolavori che non suono, divertente e salutare: quando suoni una sinfonia di Brahms, inizi a conoscerlo in modo diverso da come lo considereresti limitandoti alla produzione per violino, e conoscendolo sotto un’altra prospettiva, o con un’altra profondità e completezza, lo suoni anche in modo diverso. E devo dire che anche alcuni direttori sono contenti di avermi sotto la loro bacchetta, perché poi parliamo e posso dare loro dei feedback che magari non ricevono dai loro professori; non dico migliori, non è il mio mestiere suonare in orchestra, ma diversi, quindi in qualche modo diversamente utili».

Se il Concerto di Brahms è una pietra miliare della letteratura violinistica romantica, e quello di Beethoven è il preferito di Fischer, Britten è una presenza assai rara nei cartelloni delle stagioni sinfoniche: «Fin da studente sono stata abituata a studiare brani nuovi e a curiosare anche nel Novecento; la mia insegnante, Ana Chumachenko, pretendeva che imparassi un concerto nuovo al mese; in musica si può imparare ad imparare, e più lo si fa, più si diventa veloci a farlo. Beethoven ha composto dieci Sonate per violino: per impararne una ci si possono volere sei mesi, quando ne rimangono tre le si impara molto in fretta. A vent’anni dovevo debuttare con la London Symphony; sapevo che avrei suonato Beethoven, poi mi chiesero anche il secondo Concerto di Bartok e il secondo di Prokof’ev; non li avevo mai studiati, per Bartok mi rimanevano cinque giorni e dovetti farmeli bastare. Per fortuna un tale affastellamento è raro, ma quando capita bisogna saperne uscire».

Le emergenze non sono comunque rarissime nella vita di una concertista di successo: «Una volta a Zurigo ho dovuto suonare senza prove, salendo sul palco mezz’ora dopo essere atterrata all’aeroporto, per sostituire in extremis Tetzlaff; un’altra volta ho dovuto prendere al volo il terzo Concerto di Mozart quando stava già iniziando la prova, ma fu tutta colpa mia: ero convinta di dover suonare il quarto Concerto! Per fortuna li conosco tutti…»

Pur bella e giovane, non ha mai curato un’immagine che potesse calamitare le attenzioni di chi non ha passioni musicali: «Non ho mai voluto rappresentare me stessa, avessi avuto questa velleità avrei tentato di fare la modella. Quando salgo sul palco non voglio portare una certa immagine di me, ma Mozart, Brahms, Beethoven, Britten, e suono le loro musiche in pubblico perché credo che quelle note arricchiranno le vite degli ascoltatori. So anche come sia impossibile controllare il modo con cui i media trasmettono l’immagine di qualcuno, ma comunque io sono quello che sono e credo nella sincerità e nell’autenticità; se poi a qualcuno non piaccio, amen». Eppure, quando sale sul palco un’immagine ce l’ha, eccome; «La chiamerei piuttosto “carisma”: è un dono, se uno non l’ha non l’impara e non potrà mai diventare un buon solista».

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