L’elettricità e il futuro della stampa

by Claudia

Messaggi captati il mese scorso mi inducono a tornare sulla guerra in atto da decenni fra stampa scritta e mezzi di informazione digitali. Le spinte arrivano da un editoriale del direttore del «Corriere del Ticino» Paride Pelli e da una newsletter del peraltro direttore de «Il Post», Luca Sofri. Il primo analizza l’aumento sul fronte dei lettori realizzato dal CdT lo scorso anno (2000 in più per un totale di 94’000 lettori) e si sofferma sul futuro del giornale alla vigilia dei suoi 135 anni. Il secondo in pratica si congeda (ha lasciato la direzione a Francesco Costa) e rivela che dopo 15 anni di attività il maggior giornale digitale italiano oggi può contare su oltre 100’000 abbonati che lo sostengono per quanto quotidianamente propone sul web grazie a un manipolo di validi giornalisti. Il messaggio di Pelli l’ho letto sul giornale, risultato finale di un processo di meccanizzazione che ha caratterizzato l’informazione del secolo scorso; il secondo invece su un tablet, figlio di un’automazione che sta segnando il futuro dell’informazione e della società nel mondo intero. Colpisce il filo conduttore sinora (da me) mai considerato: il ruolo determinante ricoperto dall’elettricità nel passaggio non solo da un media all’altro, ma anche da un’era all’altra.

Con l’elettricità, da sempre, ho un rapporto strano dominato un sottofondo di mistero riconducibile anche alla mia ignoranza. Più che dalla luce nelle case o nelle strade – forse per la presenza dei fili che un tempo collegavano gli edifici – la vena di mistero è progredita scoprendo radio e telefono: come può, mi chiedevo, la voce viaggiare mediante, se non assieme, alla corrente elettrica? Lo stesso interrogativo è tornato non tanto con il cinema, ma con l’arrivo delle immagini della televisione, per poi rafforzarsi di recente con le ibridazioni in atto fra elettricità e informatica. Componente di mistero a parte, è comunque l’elettricità a dettare accelerazioni alla storia, a favorire conquiste e dispositivi che stanno spingendo la nostra società ad abbandonare l’era della meccanizzazione del ventesimo secolo e ad avviare quella dell’automazione. Come già detto, una prova di questa evoluzione, applicata al mondo multimediale, è contenuta negli stessi messaggi ricevuti: il primo stampato su carta da macchine che l’editoria ha saputo aggiornare con ibridazioni informatiche. Il secondo, invece, scritto e distribuito con il web, a conferma di un’automazione che continua a evolvere, visto che dietro l’angolo elettricità e industria mediatica stanno varando incroci fra giornalismo e intelligenza artificiale.

Andare oltre queste considerazioni e immaginare il futuro dell’informazione è troppo per la mia mente, oltretutto sempre più condizionata dal cupo scenario previsto da Andrey Mir, futurologo canadese: «Il punto di non ritorno per il collasso del sistema di produzione e distribuzione dei giornali verrà raggiunto tra la metà e la fine degli anni Venti. La lunga serie di chiusura di giornali continuerà fino a metà degli anni Trenta: cinque anni di agonia, seguiti da dieci anni di convulsioni, e poi la morte». Per attutire il pessimismo concreto di Mir posso solo proporre una finezza dell’umorismo yiddish attribuita al signor Morgenstern. Salvatosi per miracolo dalla deportazione, dopo la guerra aveva ripreso le vecchie abitudini. Prima fra tutte, la lettura del giornale al suo solito caffè, accolto con l’elettricità, gioia e affetto dal vecchio cameriere che era solito servirlo. «Hans, insieme al caffè, portami lo Stürmer», dice distrattamente il signor Morgenstern. Il cameriere gli fa notare che il giornale non esiste più. Il giorno dopo la stessa scena si ripete. «Hans, insieme al caffè, portami lo Stürmer», ordina il signor Morgenstern. «Lo Stürmer non esce più, Herr Morgenstern, è stato chiuso», ripete Hans. La cosa va avanti per vari giorni, finché Hans, spazientito, chiede al signor Morgenstern perché continua a chiedere lo Stürmer. «Solo per il piacere di sentirmi dire che il giornale del partito nazista non esce più», risponde allegro il signor Morgenstern. Nella guerra mediatica attuale gli schieramenti sono gli stessi: delicati dettagli socio-culturali contro funerei diktat industriali. E il verdetto finale rischia di dipendere dall’intelligenza artificiale.