Schiaffi, manate, manite

by Claudia

Chi pensasse che certe parole sono passate per sempre, con i cambiamenti sociali, dall’uso letterale all’uso metaforico, si sbaglia. Prendiamo lo «schiaffo», gesto simbolico dell’autoritarismo d’antan. Ebbene, eccolo ricomparire in contesti imprevisti. La «gifle» (lo schiaffo in francese) sferrata dalla Première Dame (5+) al consorte Emmanuel Macron (4-) sulla cima di una scaletta d’aereo si inserisce in un filone tutt’altro che estinto di schiaffeggiamenti morali ma anche fisici. Ci sono poi, attualissime, le facce da schiaffi, il cui culmine inarrivabile è toccato da Elon Musk: l’avete visto, con le sue simpatiche smorfiette sotto la visiera, nell’ufficio presidenziale della Casa Bianca? Divertente (2). Più simpatico di lui, solo il suo ex amico Donald (1), detto anche Taco (indovinato acronimo di «Trump Always Chickens Out» a indicare la ferrea coerenza di chi dichiara una cosa per tirarsi indietro un attimo dopo). Il più celebre della storia resta lo schiaffo eponimo ricevuto nel 1303 da papa Bonifacio VIII ad Anagni. Era probabilmente, dicono gli storici, uno schiaffo metaforico, un oltraggio umiliante più morale che fisico (chissà quanto meritato, comunque 5½). Sempre nell’ambito figurato, imperversano gli «schiaffi al volo» in queste settimane tennistiche, ne abbiamo visti molti al Roland Garros e ne vedremo parecchi anche a Wimbledon. È un gesto tecnico apprezzato per rapidità e precisione. Tornando alla «gifle» di Hanoi, in verità pare fosse, più che uno schiaffo vero e proprio, una manata, forse una doppia manata a mani nude, ma niente di sonoro vecchia maniera: gli specialisti del labiale, convocati dai giornali di gossip, non hanno dato risultati convincenti ricostruendo blateramenti incomprensibili.

Dopo la manata di Hanoi, abbiamo amaramente conosciuto la «manita»: quella sì sonora per definizione. «Manita» (5 d’obbligo) è un termine spagnolo, entrato nell’uso italiano dal 2014, quando il Milan fu sconfitto dal Manchester City per 5-1. Indica la mano con le cinque dita ben aperte ed è tornata d’attualità nella finale di Champions League. Cinque schiaffi molto brucianti per i tifosi nerazzurri (6 alla capacità di soffrire) dopo i giorni dell’enfasi nei commenti della vigilia: la Storia, il Destino… Tutto con la maiuscola e tutto ridotto in macerie dai ceffoni micidiali del Paris Saint-Germain.

Certo, siamo sempre nel campo metaforico. Nulla, se si pensa alle migliaia di schiaffi molto (troppo) fisici e ben più violenti sepolti nel ventre antico della società patriarcale, oscuro e ribollente ancora oggi. Ultimo ma non ultimo, lo schiaffo di Afragola, quello che il diciottenne Alessio Tucci (ovviamente senza voto) ha sferrato alla povera Martina Carbonaro, l’ex «fidanzata» quattordicenne, per manifestarle la sua «gelosia» una settimana prima di ucciderla con una pietra per manifestarle ancora meglio la sua «gelosia». «Volevo che tornasse da me», ha detto Tucci. Siccome Martina non tornava da lui, lui ha deciso di farla tornare dal Padreterno. Insomma, mai dire mai più.

Ciò che pensavamo tramontato per sempre fa presto a tornare di moda. Ecco, infatti, balzare nelle cronache lo schiaffo (fisico), che ci sembrava fino all’altro ieri uno dei tanti oggetti desueti come il gettone telefonico (6 alla memoria) o il disco 45 giri (idem). Oggetto desueto? Tutt’altro, se la scorsa settimana, oltre alla manata di Hanoi e soprattutto al fattaccio di Afragola, a Napoli il marito di una paziente ha fatto irruzione al Policlinico e con una sberla in faccia ha mandato al Cardarelli (l’altro ospedale cittadino) un giovane medico del reparto maxillo-facciale (sic!). Oggetto desueto? Tutt’altro, se qualche giorno prima un professore di Torino è stato schiaffeggiato da due studenti per averli gentilmente invitati ad allontanarsi dagli spogliatoi della palestra e di tornare in classe. Tutt’altro, se lo stesso giorno del fattaccio di Torino, a Roma un ventiquattrenne prendeva a schiaffi l’infermiere del Pronto soccorso dell’Umberto I colpevole di avergli chiesto di aspettare il suo turno. La parola «schiaffo», ci informano i vocabolari, deriva da una radice onomatopeica che significa scoppiare, stesso significato dell’altra parola (anch’essa onomatopeica) che pensavamo indicasse un oggetto desueto: la bomba (voto –50 mila, quanti sono i morti di Gaza sotto le bombe israeliane).