Alcaraz e Sinner: la meglio gioventù europea

E ora Wimbledon. Il torneo più affascinante del mondo sarà anche l’occasione per vedere di fronte Carlos Alcaraz e Jannik Sinner, il numero 2 e il numero 1 del mondo, la nuova coppia regina del tennis. Certo, svizzeri e in genere amanti di questo sport sono ancora orfani di Roger Federer, il campione più apprezzato e più completo. La sua rivalità con Rafael Nadal, poi allargata a Novak Djokovic, ha segnato la storia dello sport. Ma adesso tocca a una nuova generazione. La finale del Roland Garros, vinta da Alcaraz al quinto set, è stata la più lunga nella storia dell’era open, e una delle più grandi partite di tennis della storia. Basti pensare che Alcaraz ha prevalso dopo cinque ore e mezza di gioco, e dopo aver annullato tre match-point nel quarto set. Alcune immagini della diretta tv hanno emozionato gli spettatori. Innanzitutto il volto della mamma di Sinner. La signora Siglinde ha un nome da divinità nibelungica ma è più latina di tanti italiani. La sua sofferenza ha coinvolto il pubblico, tanto più che il figlio, pur nella sua apparente freddezza, ha nel viso l’identica espressione della madre.

Il tennis è un confronto della mente, uno sport di combattimento senza contatto. Che due campioni (saranno l’uno per l’altro il rivale della vita) si siano affrontati alla morte senza mai perdere il rispetto, anzi concedendosi a vicenda punti mal giudicati dagli arbitri, è qualcosa di straordinario. Tra Connors e McEnroe non sarebbe mai successo, e pure con Djokovic in campo qualche frizione con Nadal e Federer c’è stata. Alcaraz a volte esulta in modo plateale, anche per trascinare con sé il pubblico. A Parigi ci è riuscito. Ma il vittimismo social è alimentato da chi non conosce le dinamiche del Roland Garros e del tennis. Il pubblico tifa sempre per la partita. E poi Alcaraz e Sinner hanno un tennis molto diverso. Non è vero che Alcaraz giochi meglio. È vero il contrario. Sinner è tatticamente superiore. Alcaraz è più spettacolare. Se Sinner ha commesso un errore al Roland Garros, è stato non sfruttare appieno il servizio, l’unico colpo in cui è superiore ad Alcaraz, grazie agli otto centimetri di statura in più. A Wimbledon potrebbe andare diversamente. Ma lo sport non è solo un fatto tecnico. È anche un fatto sociale. Sinner e Alcaraz rappresentano la meglio gioventù europea. Qualcuno li ha visti come un modello da seguire. Qualcuno mi considera un nemico di Sinner perché ho criticato la sua scelta di spostare la residenza fiscale a Montecarlo, per non pagare le esose tasse che si versano in Italia. Alcaraz ha fatto una scelta diversa, e paga la mostruosa aliquota del 46% al suo Paese, la Spagna. In pratica metà di quello che guadagna va allo Stato. Troppo, certo. Ma ogni Paese ha la sanità, la scuola, la sicurezza che riesce a finanziare.

A parte questo, da italiano sono tifoso di Sinner. Ma Alcaraz non mi dispiace. L’ho visto giocare e vincere agli Internazionali di tennis a Roma. In lui è lecito rivedere un po’ Nadal. Se la lezione di classe e di stile del maiorchino è inarrivabile, anche Carlitos promette bene. Sempre disponibile: autografi, selfie. Ma l’episodio rivelatore è un altro. Dopo il punto che gli ha dato la sua prima vittoria al Foro Italico, Alcaraz è corso verso l’angolo del campo dove c’erano il suo team e la sua famiglia. Ha ricevuto l’abbraccio dell’allenatore, Juan Carlos Ferrero, e della madre. Anche il padre si stava lanciando a stringere il figlio, quando lo speaker ha chiesto un applauso per lo sconfitto. Lui si è fermato, ha applaudito Sinner, e solo dopo ha abbracciato il suo Carlitos. Questo significa avere una buona educazione, dei principi. Alcaraz e Sinner domineranno il prossimo decennio, e resteranno entrambi nella storia dello sport. Chi segue il tennis mi ha spiegato che il favorito per Wimbledon è Sinner. Perché è fresco: l’ingiusta squalifica patteggiata dopo essere stato trovato positivo al Clostebol (non si è dopato, era una dose infinitesimale, passatagli da un massaggiatore che si era medicato un taglio con una sostanza non consentita) gli ha evitato il massacro dei tornei americani di inizio primavera, da Miami alla California. E perché è arrabbiato. Non tanto con i giudici, quanto con i colleghi, almeno i molti che non hanno solidarizzato con lui. A cominciare da Djokovic. Il lupo serbo a 38 anni non si arrende. Ha vinto tutto. Cento tornei. Venticinque Slam. L’oro olimpico. Eppure continua. Una lezione di forza fisica e morale per tutti.

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