Da semplice trovata per mettere paura agli spettatori, negli anni lo spavento è diventato un marchio di fabbrica del cinema horror
Se il cinema horror è molto apprezzato, in particolare fra i giovani, è anche grazie all’utilizzo di una tecnica che, con il tempo, è diventata un vero e proprio marchio di fabbrica. Stiamo parlando del jumpscare, termine inglese creato su misura per indicare quegli spaventi (scare) che ci fanno sobbalzare (jump) sulla sedia del cinema o, in alternativa, sul divano di casa.
Avete presente quelle scene nei film horror quando all’improvviso alle spalle del protagonista si materializza una creatura dell’Oltretomba, prende vita un tostapane, sbuca un treno in corsa da un angolo cieco, o succede qualcosa d’altro che ci coglie così impreparati che sobbalziamo in preda al terrore? Queste scene costituiscono dei jumpscares: arrivano così improvvise e inaspettate che ci colgono impreparati, provocando quella brusca reazione del sistema nervoso nota come spavento.
Il termine jumpscare indica, in questo senso, sia la procedura stilistica che si concretizza per mezzo di una scena inattesa che provoca lo spavento, sia la scena stessa. Non bisogna essere allenati, aver fatto degli studi approfonditi, e neppure essere dotati di una sensibilità sopraffina per riconoscere un jumpscare. Lo spavento è una reazione talmente connaturata all’essere umano, che quando si fornisce una definizione sufficientemente chiara di jumpscare, tutti sanno di cosa stiamo parlando, e ognuno riconosce di avere già visto alcune scene che ricorrono a questa tecnica.
Ciononostante, non tutti la pensano allo stesso modo, tanto che il jumpscare è un fenomeno fortemente divisivo. C’è chi li ama e ne ricerca assiduamente la scarica adrenalinica, e c’è chi invece li detesta e li evita in modo categorico. O, ancora, c’è chi si limita a sopportarli stoicamente e magari sostiene, per darsi delle arie, di essere immune dallo spavento.
I critici sono sostanzialmente d’accordo nell’affermare che il primo chiaro esempio di jumpscare nella storia del cinema compare in Cat People (Il bacio della pantera nera), film del 1942 diretto da Jacques Tourneur. In una scena del film la protagonista Irena pedina Alice, l’assistente di suo marito, dopo aver sorpreso i due in un ristorante in atteggiamenti equivoci. È notte, le strade sono illuminate fiocamente e solo a intermittenza. La macchina da presa segue Alice nella sua solitaria camminata che entra ed esce dall’ombra mostrando, a stacchi alternati, la pedinatrice. Lo spettatore, a questo punto, conosce già il segreto di Irena: vittima di una sorta di maleficio ancestrale, la donna si trasformerebbe in una pantera quando è in preda a forti passioni. All’inizio del pedinamento Irena si tiene a distanza di sicurezza ma poi, a un certo punto, Alice si ferma, si guarda alle spalle, come se avvertisse una strana presenza. Poi ricomincia a camminare, ma questa volta il passo è più rapido. Il ritmo concitato e la crescente agitazione dipinta sul volto di Alice lasciano intendere che Irena, trasformatasi in pantera, potrebbe sorprenderla alle spalle.
Ma proprio quando tutto sembra precipitare, lo spazio viene squarciato dal suono stridente di un autobus che sopraggiunge, si ferma, e Alice sale a bordo. Così, nel breve volgere di un istante, quello che all’inizio sembra il ringhio di una belva si muta nel sibilo stridente dell’autobus, facendo sobbalzare tanto Alice quanto lo spettatore che, empatico, partecipa alla scena. È in quell’attimo, non prima e non dopo, che si condensa il primo vero jumpscare della storia del cinema.
Negli anni successivi a Il bacio della pantera, il meccanismo del jumpscare non subisce grandi rimaneggiamenti, e viene utilizzato con una certa parsimonia dai registi. Ne troviamo un esempio piuttosto noto in The Birds (Gli uccelli) realizzato da Alfred Hitchcock nel 1963, quando Melania sale in soffitta, con una torcia in mano, incuriosita da un suono. In soffitta inizialmente non trova nulla, se non un silenzio ovattato. Ma poi, di colpo, subisce l’attacco di uno stormo di uccelli che, fuori controllo, la colpiscono ripetutamente sul volto e sul corpo.
A partire dalla fine agli anni 70, il jumpscare comincerà a essere impiegato in maniera più frequente. Molti registi di alcune delle saghe horror più fortunate degli ultimi decenni – come Friday the 13th, Nightmare on Elm Street, o Halloween – capiscono che inserire un jumpscare nel finale di un film è il modo migliore per annunciarne il sequel e, se l’effetto è particolarmente riuscito, per rendere iconica la scena finale.
Nell’epilogo di Friday the 13th (Venerdì 13) diretto da Sean S. Cunningham nel 1980, per esempio, si accumulano i segni che sottolineano la presenza apparente di un happy end tradizionale. Vediamo una barca, sulla quale giace la protagonista priva di conoscenza, galleggiare solitaria sull’acqua di un laghetto. Ci colpisce la forza evocativa del paesaggio, le luci e i riflessi sull’acqua ci suggeriscono la vicinanza del tramonto, e una melodia in crescendo conferisce alla scena una dimensione onirica, malinconica, quasi romantica.
Poi sopraggiunge l’auto della polizia con le sirene accese, posteggia, scendono i poliziotti: sembra il tipico preludio che, nei thriller hollywoodiani, annuncia la chiusura della vicenda. E quando vediamo il poliziotto che da riva chiama la donna che, come da un lungo sonno, si ridesta e guarda verso riva, il quadro sembra maturo per il classico lieto fine. Senonché, improvvisamente, dall’acqua emerge il braccio del redivivo assassino che, in un ultimo sussulto, rovescia la barca e trascina la donna sott’acqua. Poi l’ultima, breve, desolante scena, in un primo piano che ci mostra il torbido specchio del lago increspato dall’onda di quell’ultimo assalto.
Considerando che la nascita delle prime saghe horror alla fine degli anni 70 coincide con un’impennata di popolarità di un genere che, nonostante qualche passaggio a vuoto, ancora oggi continua ad avere il vento in poppa, mi permetto un’ipotesi: che ci sia una correlazione fra l’apparizione di franchise horror infarciti di jumpscare, lo sviluppo delle moderne sale cinematografiche multiplex, e il consumo di porzioni extra large di popcorn e coca-cola? Molti giovani spettatori, del resto, ancora oggi frequentano le sale in cerca di jumpscare da antologia. Ancora meglio, poi, se i brividi vengono accompagnati da un cestino di popcorn. E se intere manciate di popcorn finiscono per terra quando arriva il jumpscare, non vi è alcun problema: fa tutto parte del gioco.