Curiosità campanilista: se gli si chiedeva del punto di svolta nella sua carriera, rispondeva che era stato il disco prodotto al suo ritorno dalla Svizzera nel 1954, Serenade to Laura, album con un tale record di vendite da lanciarlo improvvisamente nel mondo dello show-business musicale, ben al di fuori del ristretto ambito del jazz. Il pianista Erroll Gardner era del resto una figura del tutto unica, eccentrica, rispetto allo «standard d’immagine» del jazzman di allora.
Il personaggio che si era creato lo voleva «comicamente misterioso», dice il contrabbassista Ernest McCarty, che per anni ha fatto parte del suo trio. Raccontando la propria esperienza al fianco del pianista di Pittsburgh, McCarty ricorda come lui e il batterista Jimmie Smith, in decenni di collaborazione, non avessero mai preso un assolo. La scena era completamente di Erroll: «Eravamo in mezzo a quella musica magnifica e questa preclusione non ci preoccupava proprio». Lavorare con Erroll, del resto, non doveva essere particolarmente facile: «Quando eravamo in concerto, non ci ha mai detto né il titolo del pezzo che avrebbe suonato, né la tonalità: bisognava scoprirli da soli». Una condizione certo non molto tranquillizzante.
Misty, il documentario realizzato nel 2024 da Georges Gachot (sceneggiatura sua e di Paolo Poloni, da un soggetto del trombettista Nils Petter Molvaer e di McCarty) ripercorre la vicenda di un genio del pianoforte, che collocare soltanto all’interno della storia del jazz sarebbe limitativo.
Garner è stato un pianista «pop», senza dubbio, la cui abilità, ma soprattutto la volontà di piacere al pubblico e di divertire i suoi ascoltatori, era evidente. Lo annota nel film lo stesso McCarty: «Per lui il piano era un arcobaleno di colori. Usava dire: “I’m playing happy jazz. Voglio che ogni concerto sia una festa per gli ascoltatori”».
Merito del documentario è sicuramente quello di riportare al centro dell’attenzione un solista di quelli che gli appassionati dell’epoca «postdavisiana» non hanno mai guardato con particolare interesse. La sua può sembrare infatti musica senza quel rovello interiore, senza nessuna sfida con l’ascoltatore, senza problematicità angoscianti a cui gli appassionati del jazz anni Sessanta/Settanta sono abituati.
Erroll Garner è sempre sembrato loro un esuberante virtuoso, con uno stile elaborato, anche un po’ gigionesco, nella scia di quello di Art Tatum. Il documentario avrà invece il merito di instillare il dubbio che l’eredità di Erroll Gardner sia ben più che la semplice menzione quale autore di Misty.
La biografia del pianista è raccontata attraverso le parole di chi l’ha conosciuto, con molte immagini e spezzoni video tratti dall’archivio del suo amico e biografo, Jim Doran, senza interventi di commento dei realizzatori o di una voce fuori campo. È un espediente usato spesso nei documentari dedicati ai jazzmen, perché attraverso le parole di chi li ha realmente conosciuti si cerca di evocare l’intimità di una relazione profonda e quindi, di riflesso, la personalità del protagonista «in absentia».
Il lavoro del regista è stato quello di cucire insieme una mole cospicua di documenti video, fotografici e musicali tratti dalla lunga carriera di Garner e che mostrano in definitiva quanto il suo personaggio fosse seguito dai media, un’attenzione testimoniata da moltissimo materiale tratto da talk show e interviste filmate. Particolarmente efficaci per rendere la tensione drammatica del racconto (che è drammatico paradossalmente anche occupandosi di una figura tutto sommato giocosa e vitale come quella di Garner) è la scelta di una fotografia generalmente in bianco e nero. Un bianco e nero che verrebbe da definire molto pastoso, patinato, di una bellezza davvero notevole (merito di Filip Zumbrunn). Un bianco e nero che viene sfruttato spesso in carrellate in movimento, riprese dall’automobile o da un battello, in cui lo scorrere del paesaggio apre squarci lirici di riflessione attorno alla vicenda del pianista.
Per tornare alla biografia di Garner, le immagini legate ai momenti di grande popolarità internazionale trovano un contraltare nelle zone d’ombra della sua carriera. Quelle di una vita intima e affettiva complessa e fatta di solitudine e distanza. Ne parlano la figlia, mai riconosciuta legalmente, Kim Garner, e l’ultima partner, Rosalyn Noisette, che ne rimpiangono la precoce dipartita, malgrado la difficoltà di relazionarsi con lui. Garner era un uomo che difendeva la propria privacy, ma che non ne possedeva davvero una. Il suo lavoro era la sua vera vita, e per lui, come per Louis Armstrong, ogni legame affettivo, ogni parvenza di normalità relazionale e famigliare, era estranea all’agenda quotidiana.
Misty (realizzato con il sostegno dell’Ufficio federale della cultura, e in coproduzione con SSR) sarà su Play Suisse verso Natale (dopo il passaggio in televisione). Prima di allora, il Cinema Otello di Ascona, in collaborazione con JazzAscona, dopo averlo proposto nel mese di aprile, lo proporrà durante il festival venerdì 27 giugno (21:00) e domenica 29 giugno (18:30).