Dalle Olimpiadi di Tokyo del 2021 all’Expo 2025, passando dall’epoca dei samurai e dalle esplosioni atomiche
«Qui riconosco tutto, gli ascensori, le luci, le strade, eppure nulla funziona come in Europa. È tutto strano, anche la consistenza del cibo è diversa. Mi sento modificata. Tutte queste novità mi stravolgono». Con questa frase il personaggio interpretato dall’attrice Isabelle Huppert nel recente film Viaggio in Giappone (Sidonie in Japan) di Élise Girard descrive la sua reazione al suo arrivo nel Paese del Sol Levante. Difficile non sentire questa sensazione di confortevole straniamento in un luogo che rispetto ad altre realtà asiatiche ci risulta così familiare e allo stesso tempo alieno ed enigmatico. Il Giappone, a discapito della sua stupefacente efficienza e della sua maniacale organizzazione, pare intrappolato in un eterno periodo di transizione, in attesa di un rilancio economico, politico e strategico che sembra sempre in procinto di arrivare senza concretizzarsi. L’imporsi della potenza economica nipponica negli anni Ottanta ha fatto seguito a quelli che gli economisti hanno definito i «decenni perduti» che hanno visto appannarsi il ruolo dominante del Paese in Oriente nei confronti della Cina, della Corea del Sud e anche, per alcune tecnologie, di Taiwan. Ogni nuovo inizio è sembrato coincidere con un evento catastrofico, come la crisi finanziaria globale del 2008 o lo spaventoso terremoto del marzo 2011 che causò l’incidente nucleare di Fukushima. Nel 2020 fu la pandemia di Covid a colpire. Le Olimpiadi di Tokyo vennero rimandate e si svolsero un anno dopo a stadi (e alberghi) vuoti. Alcuni economisti hanno calcolato il mancato introito sul Pil a 8,5 miliardi di euro.
Per molti aspetti il 2025 è l’ennesima occasione di rilancio di una Nazione che ha sempre dimostrato capacità di risollevarsi dopo qualsiasi caduta. A Osaka è stato inaugurato il 13 aprile scorso l’Expo 2025; il debutto non è stato tra i migliori con circa 120mila visitatori intrappolati in lunghe code sotto la pioggia e impossibilitati a usare i biglietti elettronici per un imprevisto crollo della rete internet. Non benissimo per un evento dal titolo «Progettare la società futura per le nostre vite». Ma dopo una fase di rodaggio la manifestazione sta richiamando sempre più pubblico anche se in molti dubitano che l’obiettivo dei 28 milioni di visitatori sarà raggiunto quando l’evento si concluderà a ottobre. Qualcuno ironicamente dà la colpa alla mascotte della kermesse, Myaku-Myaku, mostricciattolo dai cinque occhi forse più consono a un manga che a un evento globale. Se non altro l’attenzione del mondo è ancora una volta puntata sul Giappone. Il fascino della cultura e delle tradizioni nipponiche rimane contagioso. Lo testimonia il successo mondiale della serie Shogun prodotta dalla Disney, e premiata con ben 18 Emmy Awards. La serie ha riportato in auge il romanzo omonimo da cui è tratta, un epico racconto pubblicato nel 1975 da James Clavell, un avventuriero, ex-militare britannico che venne inviato sul fronte est-asiatico nella Seconda guerra mondiale e fu fatto prigioniero dai giapponesi a Giava. Shogun racconta, in versione romanzata, la curiosa parabola di William Adams (John Blackthorne nel racconto) naufrago inglese che divenne confidente di Tokugawa Ieyasu (Yoshii Toranaga), destinato a diventare dittatore militare del Giappone e inaugurare quasi due secoli di potere incontrastato e di chiusura rispetto al mondo oltremare. Il mito dell’epoca dei samurai è più seducente delle grandi kermesse globali.
Kyoto, tappa obbligata per chiunque si rechi a Osaka, è la città più legata al passato del Paese. Il quartiere delle geishe di Gion (ambientazione del film Memorie di una geisha) e i numerosi i templi shintoisti e buddhisti, riportano in quell’atmosfera di esotica clausura dell’età degli shogun. Il problema qui è il turismo di massa, la città ha richiamato nel 2024 più di 80 milioni di turisti, convincendo le autorità locali a raddoppiare dall’anno prossimo la tassa di soggiorno e a imporre multe salate a chi non rispetta la privacy delle case private nei quartieri storici. Camminando per quelle strade, viene un brivido a ricordare un episodio dimenticato dai libri di storia. Nell’estate del 1945 Kyoto era uno degli obiettivi previsti per la bomba atomica. Fu il segretario di stato americano Henry Stimson a convincere il presidente Truman a proteggere una città che aveva vistato più volte e in cui aveva trascorso la luna di miele. A 80 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale e dalle due esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki, il Museo della pace di Hiroshima è meta obbligatoria per le gite scolastiche giapponesi che possono vedere le foto di una classe di loro coetanei spazzata via da quella che un sopravvissuto definì come «la luce di colore più intenso che abbia mai visto». Esiste però anche un diverso ricordo che è quello preservato nel museo Yūshūkan al centro di Tokyo, vicino al Palazzo imperiale, al riparo dalle chiassose luci colorate delle strade commerciali della megalopoli. Meno frequentato da turisti o scolaresche, ricorda, con un marcato revisionismo, le imprese militari giapponesi celebrando lo spirito indomito che unisce l’era dei samurai a quella dei piloti kamikaze. Qui si respira l’ideologia neo-nazionalista che sta trovando sempre più spazio nella politica giapponese, tanto che lo stesso primo ministro Shigeru Ishiba ha sostenuto la necessità di cambiare la Costituzione «pacifista» che fu imposta dopo la guerra dagli americani.
Ma in queste settimane c’è un’altra crisi da affrontare. Una serie di datate politiche protezionistiche e una crescita nei consumi legati anche al turismo ha causato una penuria di riso, facendo aumentare a livelli di guardia i prezzi e costringendo il Governo a licenziare il ministro dell’agricoltura e a importare il cereale, per la prima volta in un quarto di secolo, anche dalla Corea. Il Giappone progetta il futuro e ha conquistato la cultura popolare globale con la propria storia e la propria creatività, testimoniata dal mondo manga e anime, ma alla fine il dibattito pubblico è dominato dal prezzo di una ciotola di riso. Vengono alla mente le parole con cui l’autore Yukio Mishima descrisse alla commissione del Premio Nobel la letteratura del suo amico e maestro Yasunari Kawabata: «Le sue opere coniugano la delicatezza alla fermezza, l’eleganza alla coscienza degli abissi della natura umana; il loro nitore cela un’insondabile tristezza, e sono moderne pur ispirandosi esplicitamente alla filosofia solitaria dei monaci del Giappone medievale». In questa unione di opposti c’è la poesia, il caos, la fragilità, ma anche l’ineffabile mistero di un Paese a noi ormai molto vicino, ma ostinatamente diverso dalla nostra realtà.