Delicatezze lessicali in tempo di guerra

Quasi non ci credevo. Qualche giorno fa, un analista militare aveva definito la guerra tra Israele e Iran uno «scambio di attenzioni missilistiche». Da una parte lanciano missili aria-terra e siluri da crociera a lungo raggio che mandano in briciole Teheran e i siti atomici iraniani, dall’altra ribattono con missili balistici, droni kamikaze e razzi a lungo raggio, riempiendo di fuoco i cieli di Tel Aviv e Gerusalemme; invece di questo si tratta, ho pensato: di «attenzioni, cordialità, delicatezze» reciproche.

Forse quell’analista era ironico. O forse era uno di quei casi in cui la lingua viene usata non per svelare la realtà, ma per nasconderla, appiccicandole un bel paio di baffi finti perché nessuno riesca a riconoscerla. Ma il travestimento è troppo goffo e non ci casca nessuno. O meglio: ci casca chi preferisce cascarci.

D’altra parte, il lessico di guerra è spesso deliberatamente menzognero. La Russia continua a definire l’invasione dell’Ucraina «operazione speciale» e punisce, entro i propri confini, chi osa parlare di guerra. Così, ufficialmente, l’«operazione speciale» (che per definizione dovrebbe essere limitata nello spazio e nel tempo) perdura dal 24 febbraio del 2022, ha lasciato sul campo centinaia di migliaia di cadaveri e ha tutta l’aria di prolungarsi a tempo indeterminato, ma resta un tabù chiamarla col suo vero nome.

«Azioni di autodifesa contro Hamas», è invece il modo scelto da Israele per definire il tiro a segno sulla Striscia di Gaza dopo gli efferati attentati del 7 ottobre 2023 (che hanno causato la morte di 1200 israeliani) e che ha lasciato 55 mila vittime palestinesi sul terreno con il progetto manifesto di cacciarne i residui abitanti in Egitto e Giordania, anche quelli che non sono terroristi di Hamas. E fare di Gaza, magari, una sorta di sciantosa «Costa Azzurra» sotto bombastica supervisione americana.

Come mai nessuno ha pensato ad altre brillanti definizioni funzionali a un utilissimo maquillage della triste realtà? Non è così difficile. Qui ne mettiamo alcune a disposizione dei potenti. Senza impegno.

«Dieta intermittente per palestinesi» potrebbe ad esempio essere sfruttata per riassumere le politiche di interruzione di invio di viveri alla popolazione civile nella Striscia di Gaza: hanno mangiato durante la breve tregua delle armi, adesso digiunano, torneranno a cibarsi dopo, con calma.

«Terrorismo umanitario» sembra perfetto per raccontare i tentativi delle ONG di ripescare dai flutti del Mediterraneo o di altri bacini acquiferi i migranti precipitati dai canotti e dalle bagnarole, interferendo molto gravemente con le politiche dei porti chiusi per contenere l’«invasione degli stranieri», che è un altro modo per descrivere il fastidioso tentativo dei profughi di fuggire da regimi violenti o, nel peggiore dei casi, dalla povertà.

Il bello di queste espressioni è che sono duttili. Volendo, si potrebbe ad esempio trasferire il concetto di «terrorismo umanitario», che di solito si utilizza in ambito di migrazioni, alla situazione mediorientale. In riferimento, per esempio, al tentativo, qualche tempo fa di una flottiglia di operatori umanitari, tra i quali anche Greta Thunberg, di fornire cibo e acqua alla popolazione di Gaza.

Quanto alla Thunberg, non servono arzigogoli fantasiosi visto che per lei sono già state coniate efficaci definizioni, come, tra le tante: «isterica marionetta manipolata dagli adulti». Giacché al popolo bue repelle l’idea che una ragazza a cui è stata diagnosticata la sindrome di Asperger possa ragionare con la propria testa.

Smanganellare i dissidenti e/o sparare gas lacrimogeni sulle proteste di manifestanti che esprimono critiche nei confronti dei Governi potrebbe essere descritto come «repressione del crimine a chilometro zero», unendo il valore della sicurezza a quello dell’ecosostenibilità.

Ora che ci penso, usare armi convenzionali per distruggere il nemico, interno o esterno che sia, potrebbe essere definita un’«operazione di bonifica ecosostenibile» purché non rilasci troppe scorie radioattive nel terreno.

Indipendentemente dal regime o dalle forze armate regolari o irregolari che lo applicano, magari lamentando poi un effetto collaterale imprevisto, il bombardamento delle scuole potrebbe essere vantato come «trattamento bellico antiage» e quello degli ospedali come un «freno alle spese per la salute».

E se proprio le cose dovessero sfuggire un po’ di mano e ci scappasse il lancio di una o più bombe atomiche strategiche, o anche solo tattiche, che ne dite di «trattamento esfoliante radicale»?

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