Grazie al cielo!

Sul bel Danubio blu, il celeberrimo walzer di Johannes Strauss, sta navigando nel cielo. Eseguito dal vivo a Vienna il 31 maggio scorso e in seguito digitalizzato dall’antenna Deep Space dell’Agenzia spaziale Europea (ESA), in meno di un giorno ha raggiunto i confini del nostro sistema solare, ha sorpassato Voyager 1, ad oltre 25 miliardi di chilometri dalla terra, ed è ora viaggio verso Alfa Centauri, il sistema stellare più vicino. Lo raggiungerà nel 2029.

Le onde radio solcheranno alla velocità della luce le profondità del cielo e questa musica, così evocativa dell’immensità del cosmo (si pensi al capolavoro di Kubrick, 2001: Odissea nello spazio) sta realmente viaggiando, ora e per sempre, in questa misteriosa e affascinante immensità. Nell’abbraccio di spazio e tempo, una voce della nostra umanità sta espandendosi all’infinito, nella smisurata grandezza e bellezza dell’universo.

In realtà già 1977 la NASA inviò nello spazio verso Voyager una raccolta musicale, ma questa nuova missione cosmica, voluta per commemorare i duecento anni della nascita del compositore viennese e i cinquant’anni dell’ESA, è davvero straordinaria per l’intensità offerta da un sublime spettacolo condiviso.

Ascoltando questi suoni, questo loro aprirsi grandioso dai cieli di Vienna verso i confini più remoti dell’universo, ho percepito una emozionante quanto commovente espressione di umana gratitudine. Forse anche un desiderio di intimità con l’universo. Ho pensato che queste note volessero raccontare di noi al cielo, raccontare la nostra umanità a quel cielo che da sempre si racconta a noi, da sempre ci parla e ci accompagna nella ricerca del senso del nostro vivere.

Lo sguardo umano di contemplazione del cielo, nella storia della nostra civiltà, ha un momento inaugurale e fortemente simbolico nella vicenda di Talete che, mentre osservava il moto delle stelle, cadde in un pozzo. Una servetta trace lo prese in giro perché si preoccupava di comprendere le cose che stanno nel cielo senza vedere quelle che gli stanno davanti. L’episodio è raccontato da Platone nel Teeteto, in un contesto in cui descrive la vita del filosofo come quella di un uomo libero, desideroso di conseguire la verità.

La ragazza non può capire come la visione del cielo possa far trascurare al filosofo le cose materiali e si mette a ridere, proprio come si metteranno a ridere coloro che erano rimasti nella caverna quando Socrate ritorna, dopo che una faticosa ascesa gli aveva permesso di uscirne e di vedere il sole, simbolo luminoso della verità.

Il sole e le stelle rappresentano fin dalle origini della nostra civiltà quella dimensione metafisica, quell’oltre che spesso ci interpella nel dare un senso alla nostra esperienza quotidiana e contingente. Nel pensiero di Platone e di Aristotele sono custodite radici indelebili del nostro rapporto con il cielo. Platone, con straordinario linguaggio poetico, fa navigare le anime sul dorso del cielo, verso quel sopraceleste sito in cui vive la Verità. Aristotele invece ci prende per mano per accompagnarci verso l’esperienza della contemplazione. La contemplazione delle finalità intrinseche alla natura è il punto di arrivo della conoscenza, l’espressione più alta e feconda della nostra umanità.

Lo sguardo filosofico verso il cielo attraversa i secoli in forme anche molto diverse giungendo fino alle ben note parole di ammirazione e di venerazione sempre crescente con cui Immanuel Kant accoglie il cielo stellato nel cuore del suo pensiero e della sua etica.

Non solo la filosofia, non solo la ricerca scientifica, anche l’immaginario poetico scruta da sempre le voci del cielo. Tra le innumerevoli, meravigliose e meravigliate parole di tanti poeti, mi piace accennare a II Copernico, dialogo contenuto nelle Operette morali, in cui Giacomo Leopardi offre una geniale trasfigurazione poetica dell’immaginario filosofico: un affascinante intreccio tra mito e scienza, simbolo potente della creatività umana. L’ora prima dà il buongiorno al Sole, e al suo bel carro dorato, per iniziare la giornata ma lui si rifiuta: è stanco «di questo continuo andare attorno per fare lume a quattro animaluzzi che vivono in su un pugno di fango…». Comincia così una riflessione sottile sulla condizione umana. Fino all’arrivo dell’ora ultima, che porterà Copernico nella casa del Sole, per un dialogo appassionante tra mille metafore della vita.

Per i grandi tesori che il cielo ha offerto, e continua ad offrire al nostro pensiero, alla nostra immaginazione e al nostro cuore, mi piace pensare che questa musica risuonerà per sempre tra le stelle come un segno di eterna gratitudine.

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