Come i romanzi, anche i giochi intorno allo spionaggio prevedono un rovescio della quotidianità
Quali sono i requisiti per essere un agente segreto? Il modello della spia contemporanea è lontano da James Bond e, forse, discende invece dal protagonista del romanzo Il nostro agente all’Avana di Graham Greene: James Wormold, un quieto venditore di aspirapolveri che in maniera tanto involontaria quanto umoristica inceppa il meccanismo di eterna sorveglianza della Guerra fredda.
L’opera di Greene risale al 1958. A partire dagli anni Sessanta, all’immagine dell’agente superuomo dotato di mille gadget si affianca quella del grigio burocrate, più a suo agio con le scartoffie che con gli inseguimenti a bordo di un’Aston Martin.
Paolo Bertinetti ricostruisce la storia della narrativa di spionaggio in Agenti segreti. I maestri della spy story inglese (Sellerio, 2024). Da Rudyard Kipling fino a John Le Carré, le evoluzioni del genere mostrano come sia cambiata la visione collettiva dello stato, della sicurezza, delle relazioni internazionali.
Bertinetti ricorda per esempio come il protagonista de La pratica Ipcress (1962) di Len Deighton sia «un uomo del popolo» che «conduce una vita modesta, va a fare la spesa al supermercato, deve usare gli occhiali (forse si è rovinato la vista a forza di riempire e/o sfogliare migliaia di pratiche) e non ha nessuna delle caratteristiche del gentleman trasferite nel personaggio di Bond».
Il romanzo di spionaggio è basato sul rovescio della quotidianità: il mondo che crediamo di conoscere è teatro di una guerra invisibile, di un «grande gioco» fra le nazioni. Ma se la spia è una persona qualunque, ne consegue che tutti potremmo avere una doppia identità.
I sistemi di intelligence contemporanei sono sempre più inquietanti e forse proprio per questo, per contrastare l’ansia con l’ironia, vengono spesso trasposti sul piano ludico, nei romanzi e nei film ma non solo. In un manuale scherzoso per ragazzi, per esempio, si ribadisce che «un bravo agente segreto deve confondersi con l’ambiente» (Martin Oliver, Le 100 cose da fare per essere un perfetto agente segreto, 2009, De Agostini, 2010).
La stessa atmosfera si ritrova in Agent Avenue (Christian e Laura Kudahl, Nerdlab Games, 2024). Il gioco è ambientato a Oakfield, un sobborgo che sotto l’apparenza sonnacchiosa pullula di spioni. I partecipanti (in genere due, ma si può giocare anche in quattro) sono vicini di casa ed entrambi sospettano – giustamente! – che l’altro sia a capo di una rete di agenti: dalla madre di famiglia all’adolescente che passa in motorino.
Il gioco è basato sulla meccanica del double guessing. Io ti propongo due carte, una visibile e una nascosta. Tu dovrai sceglierne una per te e una per me. Prenderai quella visibile, con il rischio che quella nascosta sia migliore? Oppure opterai per quella nascosta, che però potrebbe essere negativa, lasciando a me quella visibile? Insomma, bisogna agire come un vicino amichevole ma pensare come una spia.
Ricco di colpi di scena, Agent Avenue è una corsa frenetica a chi scopre prima l’identità dell’avversario. Ha diverse modalità di vittoria, oltre a una variante con effetti speciali, e si risolve in un quarto d’ora.
Un gioco dalle atmosfere simili è Inside Job (Tanner Simmons, Kosmos, 2022). Il meccanismo ricorda quello della briscola, in una variante cooperativa… o meglio, quasi cooperativa. I partecipanti, da tre a cinque, sono agenti che devono raccogliere un certo numero di valigette segrete. Ma uno di loro in realtà è un agente nemico infiltrato, il quale tenterà di far fallire la missione. Oltre a portare a casa le valigette, gli altri giocatori dovranno smascherarlo, osservando il suo stile di gioco.
Tra bluff e mosse azzardate, Inside Job ricorda la tradizionale “briscola chiamata”. Conosciuta pure come briscola in cinque, è «un gioco appassionante», dove «il punto d’onore sta nel vincere di strettissima misura, avendo dimostrato di saper correre il rischio di una perdita quasi voluta» (Giampaolo Dossena, Giochi di carte italiani, Mondadori, 1984).
Il giocatore sotto mentite spoglie «si fa imbroglione, escogita trucchi, tesse inganni, architetta trappole, ordisce frodi. Quando prende il compagno gli dà una scartina, quando prende uno degli avversari gli dà un carico, quando prende lui grida a gran voce “Caricate!” (cioè “datemi dei carichi!”)».
Per vincere occorre sapersi dissimulare. Bisogna creare una routine e fingere di essere persone normali, quasi invisibili. Proprio com’era Smiley, il personaggio iconico di John Le Carré. In La talpa (1974) viene definito «basso di statura, grassottello, di mezza età […] con le gambe corte, dall’andatura tutt’altro che agile», eppure – o forse proprio per questo – è una grande spia.