Il miraggio di un congedo parentale nazionale

by Claudia

Bocciate due iniziative per potenziare il sistema attuale e c’è chi teme dei passi indietro: meno settimane per le madri

Questa è una storia fatta di tanti rifiuti e di pochi «sì», questa è la storia dell’assicurazione maternità in Svizzera. Un lungo percorso a cui ora si è aggiunto un ennesimo «no», giunto questa volta dal Consiglio nazionale, che lunedì scorso ha bocciato due iniziative cantonali, in arrivo dal Ticino e dal Vallese. Due proposte che chiedevano l’introduzione di un congedo parentale a livello nazionale, per irrobustire il modello attualmente in vigore. Oggi alla nascita di un bambino la neo-mamma può usufruire di un congedo di 14 settimane, il neo-papà ne ha a disposizione soltanto due. Dal 2021 è stato introdotto anche un congedo per i padri, chiamati anche loro a dare il proprio contributo alla crescita dei figli, agevolando così il ritorno al lavoro e la carriera professionale delle loro partner.

Proprio per questo, un anno fa e ad ampia maggioranza, il Gran Consiglio ticinese aveva dato il suo via libera alla propria iniziativa cantonale che chiedeva di introdurre su scala nazionale un congedo di almeno 20 settimane. Alla madre ne sarebbero rimaste 14, il padre ne avrebbe avute almeno 4, mentre le due settimane rimanenti sarebbero state a disposizione dei genitori, da suddividere liberamente all’interno della famiglia. Il rifiuto del Consiglio nazionale, la settimana scorsa, è motivato soprattutto dalla volontà di non estendere il numero di settimane a disposizione dei neo-genitori, che per UDC, PLR e una parte del Centro deve rimanere fermo a 16 settimane. A loro dire non è il momento di generare ulteriori costi sociali, dato che le casse della Confederazione sono già messe sotto pressione da una serie di altre richieste.

In discussione a Berna ci sono anche altre due iniziative cantonali su questo tema, in arrivo da Ginevra e dal Giura. Due proposte ferme a livello di lavori commissionali e su cui, a detta della sinistra, pesa persino lo spettro di una riduzione del congedo di cui oggi possono usufruire le neo-mamme. E qui va ricordato quanto affermato davanti al Consiglio nazionale dalla deputata dell’UDC Diana Gutjahr. A suo dire, a partire dalle due iniziative romande si dovrà elaborare un «modello flessibile» per la suddivisione di un massimo di 16 settimane di congedo. «Occorre elaborare una soluzione finanziariamente equilibrata e capace di raccogliere il necessario consenso politico», ha fatto notare Gutjahr, lunedì scorso in aula a Berna. Questo potrebbe voler dire, si teme a sinistra, che in futuro alle neo-mamme venga assegnato un numero di settimane inferiore alle attuali 14, e questo per accrescere il congedo a disposizione dei padri. «Si tratta di un brutto colpo per le mamme e un passo a ritroso per l’uguaglianza tra uomo e donna», ha scritto in un comunicato la co-presidente del partito socialista Mattea Mayer. Se ne saprà di più quando le due iniziative di Ginevra e del Giura verranno discusse dal Consiglio degli Stati, in una delle prossime sessioni delle Camere federali. Quanto capitato la settimana scorsa è solo l’ultimo capitolo di una lunga storia, iniziata nel lontano 1945. Sono trascorsi ben 80 anni dall’introduzione nella Costituzione federale dell’articolo 116, che dice: «La Confederazione istituisce un’assicurazione maternità. Può essere obbligato a versare contributi anche chi non può usufruire delle prestazioni assicurative».

Fu quello di allora un inizio con i fiocchi per le famiglie del nostro Paese, a cui però ha fatto seguito un cammino tutto in salita, e questo perché si è sempre fatta molta fatica a elaborare una legge di applicazione su questo tema. Nella Svizzera tedesca, in particolare nelle regioni rurali, la maternità è spesso vista come una questione privata, da gestire all’interno delle famiglie, con la mamma chiamata più del papà a occuparsi dei pargoli. Pure dopo il 1971, quando il diritto di voto venne finalmente esteso anche alle donne, l’assicurazione maternità è sempre stata considerata il «brutto anatroccolo» della politica sociale svizzera. Ci sono volute ben quattro votazioni popolari prima di arrivare all’assicurazione maternità che conosciamo oggi, approvata nel 2004. Si tratta di un’indennità di 14 settimane per le mamme già attive professionalmente, un aiuto che ammonta all’80% dello stipendio e che è finanziato attraverso le indennità per le perdite di guadagno. È la base di quello che chiamiamo congedo che oggi coinvolge anche i padri, seppur in minima parte. «Siamo al trentunesimo rango», ha affermato in Parlamento la friburghese Valérie Piller Carrard. «Siamo ultimi nella classifica sulle politiche in favore delle famiglie stilata dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico».

Ultimi e ben lontani da altri Paesi, come ad esempio la Norvegia, che guida questa graduatoria e in cui i neo-genitori hanno a disposizione ben 49 settimane di congedo parentale, e questo al 100% dello stipendio. In Germania questo congedo può arrivare a tre anni, anche se solo 14 mesi vengono coperti dal punto di vista finanziario. In Italia i genitori possono usufruire di 10 mesi, un periodo che può essere utilizzato nei primi 12 anni di vita del bambino. L’indennità è piuttosto bassa, pari al 30% dello stipendio, anche se da quest’anno sono previsti degli aumenti puntuali fino all’80%. In Svizzera proprio due mesi fa è stata lanciata – dall’associazione Alliance F – una nuova iniziativa popolare sul tema, chiamata «per un congedo familiare», che chiede di estendere le indennità a beneficio dei genitori per 36 settimane, da suddividere in modo paritario tra mamma e papà. «Un Paese che vuole sia i figli che la manodopera deve investire nella conciliazione tra famiglia e lavoro», si legge tra le motivazioni che accompagnano questa iniziativa. La via verso un nuovo voto popolare è dunque aperta.

Nell’attesa e in conclusione val la pena di ritornare al 1877, anno in cui il nostro Paese introdusse il divieto di lavorare per otto settimane, a protezione della salute delle donne in gravidanza e per le neo-mamme. Una tutela non retribuita che viene considerata come una sorta di «primo vagito» del congedo parentale. Allora la Svizzera fu la prima in Europa a varare una norma di questo tipo. Un primato continentale che ci arriva dalla storia e che oggi può servire da sprone per smettere gli scomodi panni dell’ultimo della classe in Europa, quando di mezzo ci sono culle e bambini da crescere.