Si scrive PFAS, ma si pronuncia PIFAS. Sono una famiglia di sostanze chimiche difficilmente degradabili che l’industria produce e impiega da decenni. Il guaio? Resistono all’ambiente e anche in Ticino – ora se ne ha la conferma – sono diffusi ovunque, in suolo, acqua e organismi con potenziali effetti negativi a lungo termine, così come un aumentato rischio dell’insorgere di determinate problematiche sanitarie in caso di eccessiva e prolungata esposizione. Dobbiamo preoccuparci? Se al momento non vi sono rischi immediati per la salute, né per le persone né per gli animali, non può essere comunque abbassata la guardia sui pericoli e sui possibili effetti cronici e va riservata molta attenzione alla prevenzione e al controllo di risorse puntuali, come la qualità delle acque che, in caso di contaminazione, devono essere trattate alla fonte con appositi filtri.
Il tema è attuale e in continua evoluzione. Tanto che Nicola Solcà, capo della Sezione della protezione dell’aria, dell’acqua e del suolo (SPAAS) e Nicola Forrer, direttore del Laboratorio cantonale (LC), hanno condensato in 34 pagine a inizio giugno un rapporto sul «Monitoraggio delle sostanze per- e polifluoroalchiliche in Ticino». Si tratta di una panoramica – la prima – sui residui di PFAS nelle acque superficiali, sotterranee e potabili, di percolato delle discariche, nel suolo e nella fauna ittica. Il nostro Cantone non è esente da puntuali situazioni problematiche. Due finora i principali casi di contaminazione accertata: l’inquinamento della falda che alimenta il pozzo Prà Tiro a Chiasso, già oggetto di interventi da parte del gestore della rete idrica, con filtri al carbone attivo installati nel 2020; e l’inquinamento al pozzo di Sant’Antonino, dovuto al dilavamento di PFBA da materiali di costruzione della galleria di base del Monte Ceneri. «Si tratta di problematiche già comunicate in precedenza, venute alla luce grazie al lavoro di monitoraggio più complessivo riportato nel rapporto» – sottolinea Solcà.
Si evidenzia nel documento: «sulla base della valutazione dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare e dell’introduzione in Europa di tenori massimi per le derrate alimentari e l’acqua potabile, anche la Confederazione ha adottato nuovi limiti. In particolare, per alcuni alimenti di origine animale e determinati composti, da febbraio 2024 sono stati ripresi i valori massimi stabiliti dalla legislazione europea. Per contro, sono tuttora mancanti dei valori di riferimento applicabili ai diversi comparti ambientali, lacuna affrontata al momento da diversi gruppi di lavoro federali, che mirano a sviluppare soluzioni adeguate e applicabili per fronteggiare la situazione».
Uno degli aspetti determinanti per affrontare il problema con cognizione di causa appare quello di approfondire le conoscenze sulle diverse sostanze dei PFAS, sulla loro diffusione e sul destino ambientale. «L’argomento è nuovo, se ne sapeva poco fino all’“altroieri”» – dichiara Nicola Solcà. «Ma occorre intervenire con una certa risolutezza. È stato l’Ufficio federale dell’ambiente, nel novembre del 2019 in occasione del simposio annuale sui siti inquinati, a lanciare il tema in Svizzera. Anche se noi, dal 2015, avevamo già eseguito prime indagini esplorative per il tramite della Commissione internazionale per la protezione delle acque italo-svizzere».
In prospettiva futura la grande diffusione di PFAS potrà nuocere all’ambiente e alla salute della popolazione? «Difficile dirlo. Va evidenziato che la presenza di PFAS ci accompagna da diversi anni senza che ne fossimo consapevoli. Ora, grazie alle nuove conoscenze acquisite, direi che tra le prime misure lungimiranti bisognerebbe agire con maggior decisione alla fonte, riducendo al massimo o eliminando del tutto ogni nuova potenziale emissione di PFAS nell’ambiente. Se è vero che, oggi, alcune sostanze appartenenti alla famiglia dei PFAS sono già limitate o vietate dall’Ordinanza sulla riduzione dei rischi inerenti ai prodotti chimici, un grande numero di esse è ancora tollerato. Un esempio: il caso d’inquinamento riscontrato a partire dalla galleria di base del Ceneri ha interessato l’acido perfluorobutanoico (PFBA), tuttora legale e facilmente sostituibile per determinate applicazioni. L’evoluzione del problema negli anni e le prospettive future dipenderanno quindi molto dalle scelte che saranno adottate a livello di politica federale. C’è una grande discussione in corso anche a livello europeo. La campagna di monitoraggio, i cui risultati sono riassunti nel rapporto, fornisce un primo quadro dell’estensione del problema e getta le basi per seguirne nel tempo l’evoluzione. Gli stessi dati di monitoraggio cantonali verranno arricchiti e messi in rete a livello nazionale per sviluppare un quadro robusto della contaminazione da PFAS in Svizzera e permettere di proseguire sul piano federale la pianificazione delle attività successive, sia in termini normativi sia sul piano operativo. Il Cantone continuerà a seguire l’evoluzione del tema, in particolare attraverso le attività di monitoraggio, la partecipazione alle campagne nazionali già pianificate dagli Uffici federali competenti e più in generale la collaborazione con questi ultimi per definire e promuovere i passi necessari».
Il rapporto evidenzia che in Ticino – nel resto della Svizzera la situazione e i valori riscontrati sono simili – la contaminazione di PFAS è diffusa e onnipresente. E la causa è essenzialmente riconducibile all’attività dell’uomo: «È opportuno ricordare che questi composti – si legge nel rapporto – sono esclusivamente di sintesi e il loro ritrovamento nell’ambiente è quindi da ricondurre al rilascio da prodotti e materiali di origine antropica». Ma le origini del problema sono da ricercare altrove: «L’ampio impiego nel tempo di queste sostanze in un’innumerevole tipologia di oggetti e prodotti di uso quotidiano, combinata alla poca consapevolezza del potenziale di rilascio e alla mancanza di una regolamentazione specifica nel passato, hanno inevitabilmente favorito la loro diffusione».
Ma quali conclusioni meritano di essere poste in rilievo per quanto attiene all’immissione sul mercato dei pesci in considerazione dei limiti dell’Ordinanza sui contaminanti? Sono state individuate specie ittiche a rischio? Come si sta monitorando questo settore alimentare a salvaguardia dei consumatori? Nicola Forrer, direttore del Laboratorio cantonale: «Per quanto si tratti di risultati da interpretare con cautela, in quanto riferiti a un unico anno di monitoraggio e a un numero relativamente limitato di campioni (soprattutto per determinate specie ittiche) i risultati mostrano una contaminazione diffusa nei pesci che varia molto in funzione della specie. I pesci analizzati, essendo dei campioni ambientali, non rientrano nel campo d’applicazione della Legge sulle derrate alimentari (LDerr), la quale si applica alle derrate alimentari immesse sul mercato. I dati ottenuti possono però essere utilizzati per identificare le specie per le quali sono ipotizzabili delle criticità circa il rispetto dei limiti dell’Ordinanza sui contaminanti. Tra queste vi sono il persico, il luccio, la trota e l’agone. In base al principio del controllo autonomo sul quale si basa la LDerr, spetta a chi immette sul mercato una derrata alimentare il compito di garantirne la conformità legale. Il Laboratorio cantonale è in contatto con i pescatori professionisti per definire insieme le misure da adottare. Stiamo inoltre svolgendo una campagna di misura su derrate alimentari di origine animale presenti sul mercato (tra cui i pesci) e continueremo il monitoraggio nei laghi per consolidare i dati ottenuti. Altre campagne seguiranno in futuro».