Napoli e gli eroi immortalati sui muri

A Napoli c’è un boom di turisti. Soprattutto stranieri, attratti dalla bellezza della posizione geografica, affacciata sul golfo chiuso da penisola di Sorrento e isole di Capri, Procida e Ischia e dominato dal Vesuvio.

Ma anche dalla napoletanità: il contesto socioculturale che la rende unica, il complesso di stili di vita, miti ed eroi raffigurati sui muri della città. Murale al Rione Sanità, ai Quartieri Spagnoli e a Spaccanapoli con i volti di Maradona, Totò, Peppino ed Eduardo De Filippo, Sophia Loren, Vittorio De Sica, Massimo Troisi, Pino Daniele.

Fenomeno da cui è emerso Jorit, al secolo Ciro Cerullo, detto «il Caravaggio della street art» per gli enormi e vivi ritratti della sua Human tribe. I volti del riscatto partenopeo, ma anche di chi nel mondo si è ribellato in nome di fratellanza e uguaglianza: per questo dipinti con segni rossi sul viso come in un rito tribale. Come le vittime della camorra: suo è il murale a Pagani dell’avvocato Marcello Torre ucciso nel 1980 per ordine del boss Raffaele Cutolo.

Jorit incarna il grido di protesta di periferie e marginalità. Le sue opere sono arrivate a New York, a Mosca e in altre città del mondo. A Napoli il contraltare di Jorit sono i murales dedicati a camorristi, rapinatori e boss. Nel 2021 un’indagine della polizia municipale individuò 15.000 tra affreschi, scritte, fotografie e statue: altarini in luoghi pubblici in memoria di membri dei clan, concentrati soprattutto nel problematico Rione Sanità e solo in parte rimossi.

Tornando al boom turistico. Attraverso i suoi personaggi Napoli vende la sua leggenda, il suo stereotipo, la sua verace tradizione popolare. Dai presepari di San Gregorio Armeno alla generosa cucina che invade il centro antico con street food e pizzerie d’autore tra O sole mio, strimpellate di chitarra e cibi gridati. I turisti fanno un’ora in coda per mangiare la «vera» pizza all’Antica Pizzeria Da Michele, che serve solo le quattro classiche: margherita, marinara, marita (a metà tra le due) e con pecorino invece che mozzarella.

«A pizza co a pummarola ‘ncoppa», come cantava Aurelio Fierro, compete con onnipresenti Pulcinella e corni rossi anti-iella. Perché «essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male», scriveva Eduardo De Filippo.

Il drammaturgo che individuò e rappresentò essenza e concetto della napoletanità con commedie dai risvolti drammatici ambientate in luoghi – fisici e mentali – e quartieri popolari della Napoli di tutti i giorni, che mise in scena la fatica di vivere della sua gente simboleggiata dalla frase «adda passà a nuttata» in Napoli Milionaria.

Al Rione Sanità, la scalinata dove Sophia Loren fu immortalata mentre vendeva sigarette di contrabbando nel film di Vittorio De Sica Ieri, oggi e domani (1963) è stata ribattezzata con il nome dell’attrice. Rione Sanità è il luogo natale di Totò – la modesta casa in cui «io lo nacqui» è meta di pellegrinaggio. Ma è anche il quartiere dove, in alcune commedie di Eduardo, la povera gente chiede grazie e numeri vincenti del Lotto ai santi che sorvegliano gli incroci da apposite edicole. Ma oggi, proprio all’angolo con Piazza Sanità, il santo da venerare è Diego Armando Maradona: «Io non sono italiano, sono napoletano» recita un altarino a lui votato.

Il mito del goleador ha trasformato i degradati Quartieri Spagnoli in un’attrazione turistica con tanto di Museo Maradona e di un mercato votato ai gadget del calciatore argentino che regalò lo scudetto al Napoli. Tra i suoi vicoli c’è anche il murale della Tarantina, l’ultimo femminiello del borgo, restaurato dopo gli sfregi di vandali omofobi. E quello dedicato a Ugo Russo, una giovane vittima della criminalità.

Tra i tavoli delle trattorie che invadono le strade del rione la malavita sembra però scomparsa, luoghi un tempo pericolosi sono oggi sicuri il giorno come la notte, «perché il turismo rende ai clan più del crimine, è la gallina dalle uova d’oro e non va disturbata con gli scippi di stupidi scugnizzi» commentano napoletani ben informati.

Ai Quartieri Spagnoli, s’incontra anche il murale di Sophia Loren con Vittorio De Sica, nonché quello di Eduardo De Filippo, perché dal suo Filumena Marturano il regista trasse Matrimonio all’Italiana (1964) con Sophia Loren e Marcello Mastroianni, uno degli spaccati più napoletani della storia del cinema, riproposto da un murale in vico San Liborio a Montecalvario.

Tra i popolari quartieri di Porto, Mercato e via dei Tribunali si articolò invece la vita di Pino Daniele, la voce più significativa della canzone napoletana del secondo Novecento. Un figlio della Napoli minore, nato in un vascio del Porto – gli insalubri mono o bilocali a livello strada, con un’unica aria e spesso stanze cieche, talvolta ampliati con balconi abusivi sul suolo pubblico: sono ancora diffusi nei rioni più poveri del centro città.

Zone riconoscibili in alcuni passaggi di Napule è, una delle canzoni omaggio alla sua città, che racconta tra mille colori, mille paure, con le voci dei bambini che non ti fanno sentire solo, con il sole amaro e l’odore di mare, con la sporcizia a cui nessuno fa caso perché ognuno si affida alla sorte, camminando nei vicoli tra la gente…

Pino canta quartieri affollatissimi, dove giocoforza si vive in mezzo agli altri. Dopo la morte, Pino Daniele fu celebrato con un concerto nell’immensa e monumentale piazza Plebiscito, seguito da una folla di centomila persone che intonava le sue canzoni.

Pino Daniele è una delle tre grandi icone della cultura partenopea insieme a Massimo Troisi (Pino scrisse le colonne sonore dei suoi film) e a Eduardo de Filippo. Eroi ripescati nell’ultimo anno in occasione di una sequenza di anniversari.

Dieci anni dalla morte di Pino Daniele. Trent’anni da quella di Massimo Troisi. Quarant’anni dalla scomparsa di Eduardo de Filippo. E il novantesimo compleanno di Sophia Loren: «Mi sento più napoletana che italiana» affermò per l’occasione dal suo rifugio dorato di Ginevra. I personaggi che hanno cambiato l’immaginario di Napoli. Gli eroi immortalati sui suoi muri.

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