Una telefonata che cambia due vite

«Dopo anni di ombre, ho potuto finalmente rivedere il volto di mia figlia. Tutto questo grazie alla famiglia di un donatore che ha deciso di donare le cornee. Non conosco chi sia, ma ogni giorno lo ringrazio perché quel gesto mi ha ridato la vista, l’indipendenza e una nuova vita. È un dono silenzioso, ma immenso», sono le parole di Marco (nome noto alla redazione) e la sua testimonianza riporta subito alle famiglie dei donatori che, con quel gesto, riaccendono la luce negli occhi di qualcuno come lui. Lo testimonia la mamma di Luca (nome pure noto alla redazione), donatore di cornee: «Quando Luca se n’è andato, il dolore è stato immenso. Ma ci ha dato un piccolo conforto sapere che, grazie a quel gesto, qualcuno ha potuto tornare a vedere. Anche se Luca non è più con noi, continua a vivere attraverso chi ha ricevuto quel dono».

Il trapianto di cornea è l’intervento più praticato al mondo; secondo i dati Swisstransplant, circa 650 interventi annuali sono fatti in Svizzera. «La cornea è come una finestra trasparente posta nella parte anteriore dell’occhio e lascia intravvedere iride e pupilla; funge da protezione dell’occhio e lascia filtrare la luce. Questa lente permette alle immagini di imprimersi sulla retina, e il fatto che non sia irrorata da sangue non comporta la necessità della compatibilità tra donatore e ricevente, con una maggiore probabilità di successo del trapianto e un ridottissimo rischio di rigetto». Così esordisce l’infermiera di terapia intensiva e coordinatrice al dono d’organi dell’Ospedale Regionale di Lugano (EOC) Valentina Silvagni che riassume il ricorso al trapianto di cornee per i seguenti casi: «Patologie degenerative, distrofia di Fuchs (riduzione delle cellule endoteliali), cheratite interstiziale (infiammazione infettiva degli strati intermedi corneali), cicatrici corneali, esiti di processi infettivi batterici o fungini, lesioni traumatiche e ustioni». Il trapianto di cornea è quindi l’intervento chirurgico tramite il quale si pratica la sostituzione totale o parziale della cornea danneggiata, «con l’obiettivo di ripristinare la sua trasparenza e restituendo così all’occhio la capacità di vedere».

La nostra interlocutrice afferma che in molti casi il trapianto è l’unico trattamento curativo per correggere alcune patologie corneali, spiegando che «in Svizzera il numero di cornee disponibili al trapianto sono inferiori al fabbisogno nazionale». Perciò, Swisstransplant sostiene un progetto volto a migliorare l’autosufficienza nazionale nella donazione di cornee, «con gli obiettivi di migliorare il sistema di identificazione del donatore, ottimizzare i processi fino al prelievo, coinvolgendo personale specializzato nel coordinamento delle donazioni di organi e tessuti per raggiungere l’autonomia della Svizzera in materia di trapianto di cornee».

Rispetto alla donazione multiorgani, quella delle cornee è più semplice, meno invasiva e ha tempi più flessibili, ma non dobbiamo dimenticare che può cambiare la vita a chi è al buio, spiega il professor Paolo Merlani, specialista in medicina intensiva, primario e direttore medico area critica EOC e membro della commissione etica di Swisstransplant: «Tutti i pazienti deceduti in ospedale possono diventare potenziali donatori in assenza di alcune controindicazioni e, laddove vi sia il consenso alla donazione, il prelievo è possibile in un lasso di tempo abbastanza agevole (entro le 24, massimo 48 ore dal decesso)». Ciò fa sì che, a partire da novembre 2024, all’Ospedale Civico di Lugano il team di coordinamento locale donazione organi e tessuti si occupa dell’identificazione dei possibili donatori di cornee a partire pure dai pazienti deceduti nei reparti di medicina interna (dunque anche pazienti non in morte cerebrale come per la donazione multiorgano): «È un processo che include l’identificazione dei potenziali donatori, la verifica delle controindicazioni alla donazione, la ricerca della volontà presunta o espressa dai familiari, la richiesta di consenso al prelievo, l’esame della salma e il prelievo delle cornee entro 24 – 48 ore dal decesso, mentre le cornee vengono poi spedite alla Banca delle cornee di Ginevra per i controlli di qualità in previsione del trapianto». Per la loro peculiarità, quindi, il dono delle cornee può essere esteso anche a quei pazienti non deceduti nel reparto di Cure intensive: «Per questo, il colloquio con la famiglia cambia totalmente forma perché non si tratta di pazienti a noi già noti e bisogna contattare la famiglia a posteriori. Allora, proprio la telefonata ai familiari è il momento chiave: è lì che nasce una nuova possibilità di luce».

Quella telefonata ai famigliari è l’unico modo per richiedere la donazione delle cornee ed è un momento estremamente delicato, sia dal punto emotivo che comunicativo: «Premesso che in Svizzera, e soprattutto nel nostro Cantone, la popolazione dimostra da sempre una vera e propria generosità verso la donazione degli organi, siamo coscienti che le criticità di questa richiesta telefonica non debbano essere ignorate, senza però diventare un ostacolo nella realizzazione di quel desiderio del deceduto o della sua famiglia di donare la vista a qualcuno che ne ha bisogno. Ciò detto, il nostro team è assolutamente preparato e formato nella procedura di dialogo con la famiglia: il personale che effettua la chiamata è altamente formato in comunicazione empatica, normativa sulla donazione e gestione del lutto. Inoltre, ci avvaliamo dell’uso di script adattabili e personalizzati che lascino spazio all’empatia». Un modo necessario, quello telefonico, che però tiene conto con sensibilità delle criticità, a cominciare da quelle emotive e psicologiche del lutto acuto dei famigliari, dalla mancanza del contatto visivo e dalle difficoltà nella trasmissione della fiducia: «Non possiamo negare che l’assenza di linguaggio non verbale complica l’empatia e la comprensione delle reazioni dell’interlocutore, ed è più difficile trasmettere sicurezza e umanità solo con la voce specialmente se chi chiama non è noto alla famiglia, anche se quando ci presentiamo le persone ci identificano comunque come appartenenti al complesso curante EOC. La comunicazione è dunque gestita con tatto e in genere i famigliari non la percepiscono come una forma di pressione, ma di condivisione verso una decisione che la maggior parte delle volte è quella della donazione. La garanzia non esiste e noi certamente ci ritiriamo con garbo e rispetto se dall’altra parte troviamo disagio o diniego».

Certo, la richiesta di donazione delle cornee in presenza (e non tramite una telefonata) è un’ipotesi che aumenterebbe l’efficacia comunicativa, tanto utile a ridurre l’impatto emotivo quanto non realizzabile per una serie di ragioni pertinenti esposte dallo specialista. Allora, proprio in quella telefonata, fatta con voce calma e parole scelte con cura, si apre uno spiraglio tra il dolore e la speranza: «Chiedere il consenso alla donazione delle cornee non è solo un gesto sanitario: è un atto umano, che può trasformare un momento di perdita in un dono di luce per chi non vede più». Basta un «sì» per cambiare due destini: quello di chi ha perso, e quello di chi può tornare a vedere.

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