Storia: dal generale Clark al Lido di Lugano ai libri-cartolina per gli Usa firmati Gottlieb Duttweiler
Il generale Clark al Lido di Lugano. Quante volte l’ho sentita, di anniversario in anniversario, la storia del condottiero americano allungato sulla spiaggia del Ceresio… Sono passati 80 anni e la memoria si affievolisce. I testimoni si sono spenti. Quei ragazzi che nell’estate del 1945 osservavano la fine della guerra e l’inizio della pace in costume da bagno, affacciati sul mondo da ricostruire dall’intatta isola neutrale, non possono più raccontarmi dettagli e retroscena della prestigiosa visita balneare.
E allora, per ritrovare il generale in «missione» in Ticino, non mi resta che tuffarmi nell’archivio dei giornali dell’epoca. Inizio a sfogliare dal giugno ’45. La guerra in Europa è finita da qualche settimana. Nel Pacifico il Giappone resiste all’attacco americano. Hiroshima e Nagasaki non hanno ancora subito la distruzione atomica. Dalla Svizzera vengono espulsi tedeschi e italiani indesiderati, si organizzano i rimpatri di profughi e internati, transitano convogli di soldati desiderosi di dismettere le uniformi e tornare a casa.
Il generale Mark Wayne Clark ha occupato i notiziari di guerra sul fronte italiano per oltre un anno e mezzo: dallo sbarco a Salerno il 9 settembre 1943, su su a Napoli, a Cassino, a Roma, poi l’infinita attesa sulla linea gotica prima di debordare nella pianura padana fino ai nostri confini. È il più giovane generale dell’esercito Usa e ha liberato l’Italia dal bieco regime nazifascista.
In «missione» post-bellica lo incontro finalmente sfogliando l’edizione del 14 luglio del settimanale per le famiglie della Svizzera italiana «Illustrazione ticinese». La foto del comandante delle truppe alleate in Italia è in copertina, a tutta pagina. All’interno si trova la cronaca fotografica firmata da Vicari e Schiefer, tra Lugano e Locarno, tra ricevimenti ufficiali e relax da turista (le fotografie sono visibili sul sito dell’archivio della Città di Lugano: https://patrimonio.luganocultura.ch/oggetti/8553-il-generale-mark-clark-al-lido-di-lugano?i=0). Eccolo: è lì che appare al Lido di Lugano. Svestita l’uniforme, si concede qualche ora in spiaggia, sulla sdraio, a firmare autografi ai bagnanti che lo hanno riconosciuto.
All’indomani della visita lampo, il generale lascia la Svizzera alle 10.45 dal valico di Chiasso. Si appresta ad annunciare ufficialmente che il 15.mo corpo d’armata in Italia, composto dalle celebri V e VIII armata, ha cessato di esistere – come informa l’Agenzia Reuter. È l’ultimo atto da comandante delle truppe alleate liberatrici prima di essere destinato alla guida delle Forze d’occupazione in Austria.
La visita del generale Clark – commenta l’articolo intitolato All’ombra della bandiera stellata – è un assaggio che avrà convinto l’eminente uomo dell’aura di affettuosa premura che circonderà le truppe americane che, prima del loro rimpatrio, visiteranno a scaglioni il nostro Paese.
Ecco perché il generale fa il turista al Lido! In Svizzera è tutto pronto per il lancio di un’operazione d’immagine e di marketing turistico senza precedenti. Il 16 luglio a Berna si concludono felicemente le trattative per il soggiorno elvetico dei soldati americani in congedo, che affluiranno da Basilea (quelli di Eisenhower) e da Chiasso (quelli di Clark). Il comunicato ufficiale informa che gli ospiti saranno guidati da ciceroni svizzeri, soggiorneranno tre giorni in una stazione climatica e il resto della settimana viaggeranno attraverso il Paese. Per le spese di soggiorno è stato pattuito un costo di 35 dollari a settimana e l’esercito americano si assumerà il rifornimento dei viveri. Entrando in Svizzera, inoltre, ogni soldato americano potrà ottenere 150 franchi per le spese minute agli sportelli di cambio.
L’«invasione» degli yankees in licenza, affidata al Servizio territoriale dell’esercito in collaborazione con gli enti turistici, scatta il 25 luglio. La durata prevista per l’azione è di un anno (in realtà si sarebbe prolungata fino al 1949, facendo registrare oltre 300mila presenze). Nel giro di un mese, a fine agosto 1945, hanno già soggiornato in Svizzera 24mila soldati americani.
In Ticino hanno trascorso solo poche ore, massimo una giornata, lasciando l’impressione di una correttezza e di una modestia di contegno che colpisce favorevolmente la nostra popolazione: questi componenti di un’armata che ha dietro di sé una lunga e dura avanzata attraverso le aride terre dell’Africa Settentrionale e lungo lo stivale italiano o la campagna nella quale la potenza militare germanica ricevette il colpo di grazia, non assumono gli atteggiamenti del miles gloriosus e si aggirano per le nostre città a gruppetti di tre o quattro, oppure isolati, senza abbandonarsi a gesti meno che composti. Quelli che attaccano più facilmente discorso con i boys di Clark e di Eisenhower sono certi monelli che sfoderano con loro il repertorio di espressioni pittoresche che si sono costituiti assistendo ai film americani. («Illustrazione ticinese», 1.9.1945)
Ecco, appunto, i film americani! Proprio in quei giorni a Lugano andava in scena la Rassegna internazionale del film (quella che successivamente sarebbe diventata il Festival di Locarno), in cui gli Stati Uniti si erano aggiudicati la parte del leone. Ciò che non stupisce – si commentava nella presentazione – quanti hanno presente la parte cospicua che la produzione d’oltre oceano ha nei programmi delle sale di proiezione svizzere. («Azione», 31.8.1945, p.4).
L’offensiva dell’industria culturale americana faceva sfilare sui grandi schermi luganesi le sue star: Warner Bros con Bette Davis, United Artists con Alfred Hitchcock, Fox portava Heaven Can Wait di Lubitsch, Columbia con Rita Hayworth e Gene Kelly nel musical Cover Girl, Walt Disney con le avventure di Donald Duck in Sudamerica e tre cortometraggi di propaganda, Frank Capra con i suoi documentari della serie Perché combattiamo.
Artiglieria pesante della cinematografia confrontata con una misera offerta dell’Europa prostrata dalla guerra: un solo lungometraggio da Italia, Russia e Svezia, due dalla Francia, uno dall’Inghilterra, accompagnato da tre cortometraggi. La produzione svizzera si limitava a un pugno di documentari: dalle officine della Oerlikon alle cappelle del Ticino. Proprio alla vigilia della rassegna, però, al Supercinema, tornava in programma a generale richiesta, L’ultima speranza, il più grande film svizzero che ha trionfato all’estero. Girato in Ticino con attori ticinesi, rifugiati inglesi, americani e italiani – si legge sulla locandina – il film è la storia commovente di alcuni autentici prigionieri di guerra americani, evasi dai campi di concentramento italiani, che passano (felicemente! ndr) il nostro confine in cerca di un asilo sicuro dopo rischi e peripezie inenarrabili. («Azione», 8.6.1945)
L’evidente operazione di propaganda narrativa dell’immagine umanitaria della Svizzera neutrale era sostenuta sul «suo» settimanale «Azione» nientemeno che dal poliedrico imprenditore Gottlieb Duttweiler, in veste di consigliere di amministrazione della Praesens Film di Zurigo, la casa di produzione de L’ultima speranza, ma anche di precedenti successi come Marie Louise (1943) e Landamann Stauffacher (1941).
Archiviata la produzione patriottica figlia del tempo di guerra, è proprio la Praesens di Duttweiler e co. a cavalcare l’invasione pacifica dei soldati americani che attraversano la Svizzera, fissandola nel documentario promozionale G.I.’s in Switzerland (https://www.youtube.com/watch?v=0ZEllpilshg). Ma i tempi della pellicola sono lunghi e il documentario non uscirà prima del 1946. Tempi troppo lunghi per il lungimirante Dutti, che già nel 1935 aveva fondato Hotelplan, fiutando l’affare del turismo popolare, avanguardia del nostro turismo di massa. Il flusso ininterrotto di soldati in licenza doveva essere intercettato a fini pubblicitari. Subito. E allora Mister Migros si inventa e pubblica in sole 6 settimane Our leave in Switzerland, un instant book, libro-cartolina a metà tra album dei ricordi e guida turistica, rafforzato dalle nozioni necessarie a far conoscere il funzionamento politico-economico della Confederazione svizzera.
L’album fotografico è firmato da Werner Bischof, che sarebbe divenuto uno dei più celebri fotoreporter dell’Agenzia Magnum. E alla pubblicazione promozionale per l’appetitoso mercato americano collabora Duttweiler in prima persona, mobilitando la Federazione delle Cooperative Migros e l’Ufficio centrale svizzero del Turismo, che si occupa della commercializzazione. Due franchi e cinquanta centesimi è il prezzo (al di sotto del costo!) del libro, venduto con involucro di cartone munito di un’etichetta, in modo che i soldati in licenza possano inviarlo comodamente ai loro congiunti e conoscenti a casa, a guisa di saluto dopo il loro viaggio in Svizzera. In cinque mesi ne arrivano negli Usa 70mila copie.