Alla Scarzuola si decostruisce l’idea di sé

Posto magico, luogo esoterico, città incompiuta. Sono solo alcuni dei nomi che vengono dati alla Scarzuola, quella che per il suo realizzatore, l’architetto Tomaso Buzzi (sì, con una m sola) era invece la sua città ideale, il luogo dell’anima. E come tutti i luoghi che sono avvolti dal mistero, dalla fantasia ma anche dall’estro e dal genio del suo artefice, anche la Scarzuola – che si trova a Montegabbione in Umbria – ha una storia affascinate dietro la sua nascita e creazione. Una di quelle lunghe secoli, dove si incontrano santi, miracoli, nobili e artisti.

ll miracolo

La narrazione vuole che nel 1218, San Francesco, il Santo di Assisi, costruì proprio qui una capanna fatta con la scarza, un’erba (da alcuni esperti identificata nella Schoenoplectus lacustris) che cresce nell’acqua e da cui deriva appunto il nome, la Scarzuola. Secondo la leggenda, mentre piantava una rosa avvenne un miracolo: dalla terra iniziò a zampillare una sorgente d’acqua, elemento fondamentale in un posto così isolato. Il Santo, dopo aver ricevuto il pezzo di terra dal signorotto di Montegabbione, usò la capanna per ritirarsi in preghiera. Nel corso degli anni e dei secoli a venire, la capanna si trasformò prima in una chiesa e poi in un convento per frati che sorse tutto intorno, pur rimanendo sempre di proprietà dei nobili di Montegabbione. Rimase attiva fino al periodo tra le due guerre quando venne completamente abbandonata.

La visione di Buzzi

Ed ecco che, nel 1956, entra in scena Tomaso Buzzi. Architetto già famoso, designer e artista, uno dei progettisti più importanti dell’art déco, professionista a cui si rivolgeva la borghesia milanese per ideare o arredare le loro case, insomma, un uomo di grande cultura che quell’anno si trovava in Umbria, proprio nel momento in cui era maturata dentro di lui l’idea di trovare un posto isolato dove poter progettare e realizzare il suo «luogo dell’anima». Inutile dire che quando vide la Scarzuola non ci pensò due volte sebbene fosse oramai in parte ridotta in rovina e assediata da rovi ed erbacce. L’acquistò con il chiaro intento di ridarle nuova vita, di rianimare quei mattoni e quelle pietre, di estrarre lo spirito dalla materia. Un progetto, una visione, un’idea portata avanti dal 1956 al 1978.

Una gimcana campagnola

La Scarzuola non è un posto comodo da raggiungere e una volta lasciata la strada asfaltata, dopo il paese di Fabro, in provincia di Terni, bisogna guidare lungo una via sterrata, in mezzo alle dolci e morbide colline umbre accarezzate dai raggi del sole. La strada sembra non arrivare mai a destinazione e a volte si ha la sensazione di essersi persi. «Scusi, la direzione per la Scarzuola?» chiedo a un anziano seduto su una sedia di legno, davanti alla porta di uno dei casali che si incontrano lungo il percorso in mezzo alla campagna. Alza il viso, si aggiusta il cappello di paglia in testa, mi guarda quasi con compassione e poi, senza dire una sola parola e spostando solamente la mano, mi indica la direzione: andare avanti, proseguire sulla stessa strada. Dopo altri sali e scendi, curve, rettilinei e polvere che si alza al passaggio dell’auto, ecco, alla fine della discesa, il campanile della chiesa in lontananza, che si frappone a una strana costruzione di colore marrone.

Il bizzarro nipote, Marco Solari

Altra gente nel giardino interno circondato dalle cappelle con le tappe della Via Crucis aspetta per iniziare la visita guidata, perché La Scarzuola è una proprietà privata. Dopo la morte dell’architetto Buzzi (1981) i figli non se ne presero molta cura e alla fine andò in eredità a un suo nipote, Marco Solari, che da più di quarant’anni porta avanti e cerca di completare il sogno e il progetto dello zio. E così, mentre una parte del vecchio convento è stata trasformata in abitazione e non è possibile visitarla, tutto il resto, dall’anfiteatro al giardino alle colonne d’Ercole, è aperto alle visite del pubblico. Ed è proprio Solari, 75 anni, che accoglie i visitatori nel prato davanti alla chiesa. Alto, magro, spettinato, occhiali che poggiano su un grande naso, muove le braccia di continuo e ogni tanto si sfrega le mani. La voce, forte e squillante si alterna a risate lunghe che a volte rasentano il ghigno. Lo sguardo saetta da una parte all’altra. «Benvenuti, anzi malvenuti, voi siete dei cretini che siete venuti fino a qui per vedere la Scarzuola, il cagatoio di Buzzi». Guarda fisso le persone davanti a lui e poi scoppia in una risata, e i visitatori, anche se stupiti, rimangono ad ascoltare la sua spiegazione, sull’origine del luogo, da San Francesco ai giorni nostri. È un tipo loquace, Marco Solari, e non si capisce se gli piaccia recitare la parte del personaggio oppure è così veramente. Ma di certo si vede che è appassionato, anzi, ama profondamente quel posto. Anche se durante tutta la visita continua, tra una spiegazione e l’altra, a insultare i turisti. Sembra una messinscena compresa nel costo del biglietto.

«Alla ricerca di noi stessi»

«Venite, iniziamo il viaggio alla ricerca di noi stessi, un viaggio dal buio verso la luce, un viaggio che è la metafora della vita». E così, passando attraverso un vecchio cancello di ferro e percorrendo un centinaio di metri lungo un viottolo si arriva a quella che è la più imponente delle opere, la grande arena all’aperto, il Theatrum Mundi con il suo Teatro delle Api da un lato e l’Acropoli dall’altro. È un vero e proprio anfiteatro, con le gradinate in pietra a formare un semicerchio. Lo sguardo corre giù, in fondo, al grande occhio che guarda gli spettatori ed è sovrastato da quello che Solari definisce un grande vascello dove a poppa c’è per l’appunto il Teatro delle Api, l’unico coperto, mentre a prua si trova l’Acropoli, accessibile dalla Porta del Cielo, dove si trovano affastellate diverse miniature architettoniche come il Partenone, il Colosseo, le Piramidi d’Egitto, la Torre di Mantova che rappresenta il Rinascimento.

Burattini, attori o spettatori?

La calda luce del sole illumina le pareti degli edifici dipinti di arancione. «Alla Scarzuola, Buzzi diceva di sentirsi nudo, per questo cercò e trovò un luogo così isolato, dove poteva spogliarsi e diventare sé stesso, per mezzo dell’architettura»; seduto sugli scaloni dell’anfiteatro, circondato dal pubblico dei visitatori, il cicerone Solari si addentra nelle spiegazioni: «Questo è il Teatro Mundi dove ognuno di noi ha il suo ruolo, che può essere partecipe o solo di presenza. Perché, tutti voi, iniziate questo viaggio alla Scarzuola come burattini e, durante il percorso, vi dovete sburattinizzare per prendere coscienza di chi siete davvero. Siete spettatori o attori? Ricordate, che se siete attori potete incidere sulla materia». Molti di quelli che lo stanno ascoltando rimangono in silenzio, alcuni si guardano tra di loro con facce perplesse, altri si stanno presumibilmente domandando: «Ma cosa sta dicendo?».

Il grande occhio

Ed ecco di nuovo la risata di Solari, mentre guarda compiaciuto le facce attonite dei suoi ascoltatori, si aggiusta di nuovo gli occhiali sul naso, batte le mani, e poi riprende: «Questa è la città ideale, un luogo architettonico esoterico e mistico dove gli umani non sono previsti. E sapete perché?». Silenzio, qualcuno prova ad accennare una risposta a mezza bocca. «Perché l’essere umano non riesce a stare nell’ideale», dice Solari. «E qui alla Scarzuola potete finalmente fare il viaggio dentro di voi, riscoprire la vostra parte creativa». «Ah, bene, ho bisogno di riscoprire me stessa» dice una signora di mezz’età, bionda e ben truccata. «E lo vedete quell’occhio lì in mezzo al grande vascello? È il grande occhio che vi guarda e spia i vostri affanni; Buzzi diceva che a noi ne basta solo uno per guardare oltre, per vedere quello che due occhi non riescono a vedere. Il nascondimento dell’arte: gli occhi vedono, ma se si va oltre, si interpreta la visione in modo diverso». Tutti rimangono abbastanza muti, si accennano domande che a volte hanno risposte taglienti e ti fanno sentire un po’ scemo. Una situazione sospesa, interrotta all’improvviso da una madre che strilla a tutta voce per richiamare il figlio piccolo che corre lungo il pendio dell’anfiteatro: «Andrea, fai attenzione!».

Il sogno nel sogno

Inizia così il viaggio nel viaggio, anzi «il sogno nel sogno» come diceva Buzzi. Un viaggio onirico alla scoperta di noi stessi per sviluppare la propria anima, dove – come ha fatto lo stesso Buzzi durante la progettazione e realizzazione della Scarzuola – bisogna lasciare per strada ambizioni e desideri materiali. Andando avanti si arriva alla Torre del Tempo e dell’Angelo Custode. Una torre di tufo dove su una parete si trova un orologio mentre sull’altra solo un quadrante senza lancette. «Vedete?» dice ancora Marco, mentre tutti gli si fanno intorno come a una guida spirituale: «Qui l’orologio classico e qui quello senza tempo». «E che differenza c’è?» si sente chiedere da qualcuno in fondo al gruppo. «Il tempo – continua il nipote di Buzzi – in sé e per sé, quando siete nel sonno/sogno non c’è. Se non siete scemi lo capite». Dalle varie espressioni è chiaro che serve un’ulteriore spiegazione. «Ok, quando avete gli occhi aperti e vedete le lancette dell’orologio, il vostro cervello è programmato, vedete quello che vi vogliono far vedere. Siete imprigionati. Mentre nel notturno non siete imprigionati, perché non ci sono le lancette, fate quello che volete» dice ciondolando sui propri passi la nostra guida, oramai sicura di non essere contraddetta e di avere in pugno chi lo ascolta. Intanto una coppia di anziani, che forse immaginava una visita più vicina alla storia del Santo poverello che alla visione della vita dell’architetto Buzzi, cerca ristoro all’ombra di un pergolato di vigne. «Si torna a essere se stessi, come diceva l’architetto Buzzi» suggerisce dietro di me il marito alla moglie arrivata fino a qui con un paio di scarpe con i tacchi, non certo comode per questa visita.

Il gioco e la creazione

Accanto alla Torre del Tempo si trova una delle opere più conosciute della Scarzuola, la grande statua detta della Dea Madre o del Donnone. Questa grande statua in cemento, alta circa dieci metri, rappresenta un busto femminile senza testa ed è stata terminata dallo stesso Solari seguendo i progetti dell’architetto Buzzi: «La madre terra, per far sopravvivere tutti quelli che sono in superficie, usa il magma, il fuoco, qui rappresentato da quei cilindri di ferro che sono al posto della testa, le fiamme». Poi, dopo un’ennesima risata, parte una lunga spiegazione dal periodo neolitico sul ruolo della donna e dell’uomo, secondo cui la donna è stata la prima vera dea, perché ha capito che poteva procreare: «Per andare avanti dobbiamo inserire il femminile dentro la nostra vita. E come si fa?». Silenzio, chiaramente, da tutti gli astanti. «Con il gioco che ci permette di vedere oltre, di divertirci. Buzzi, quando costruiva le case, oltre a essere architetto e ingegnere, ci metteva anche il gioco, e venivano fuori delle opere stupende».

La Bocca della Balena

I discorsi si fanno sempre più complicati, una buona parte di pubblico inizia a spargersi sui prati, i bambini corrono da tutte le parti. Ma con lo spirito giusto, il viaggio interiore nella città ideale di Buzzi ha qualcosa di affascinante, circondati da simboli e invenzioni architettoniche sorprendenti, tutte da guardare con gli occhi di un bambino. Come la Bocca della Balena, opera iniziata da Buzzi e anche questa completata da Solari, che rimanda alla balena del profeta Giona o a quella della storia di Pinocchio. E che, attraversandola, rappresenta la metafora della morte e della rinascita. Anche la collocazione di quest’opera è emblematica, perché si trova alla fine della percorso in discesa, laddove poi riprende la salita, dando via al viaggio di trasformazione.

Il viaggio di trasformazione

Siamo nella parte più bassa del percorso e il viale di ghiaia porta fino alla Torre della Meditazione e della Solitudine. «Da qui poi ci sono le 12 rampe, come le 12 fatiche di Ercole, che portano alla liberazione delle nostre parti pesanti, per arrivare alla nostra essenza». I più attenti annuiscono convinti, rapiti dai racconti e da questo mondo esoterico. «Se non siete totalmente scemi qui dovete sopprimere il vostro io, il vostro ego per iniziare il percorso di ascesa» dice ancora Solari, appoggiandosi a un muro di mattoni di tufo, con le mani sui fianchi lasciandosi andare a un’altra risata.

Il simbolo della saggezza che Buzzi rincorreva si trova dopo la fine della salita. È il fusto di un cipresso, completamente spoglio, colpito da un fulmine nel 1970. «Questo è il tramite tra la terra e il cielo e si trova all’interno di un tempio solare, però, se guardiamo questo tempio dall’alto vediamo che è un pozzo, il pozzo della memoria». Il nostro Cicerone non smette un attimo di parlare, lo zoccolo duro dei visitatori lo segue con estrema attenzione. Annuiscono con la testa, per molti di loro è un privilegio poter fare questo viaggio metafisico alla ricerca della comprensione dell’essere umano e della realtà. «Perché è la memoria che ci permette di andare nel futuro».

La Torre di Babele

Il viaggio è quasi finito, resta solo da vedere la Torre di Babele, che è accanto al Tempio. E di ascoltare l’ultima frase di Marco Solari che riguarda l’architetto. «Buzzi diceva che quando era in mezzo agli altri si metteva il vestito, mentre quando veniva qui alla Scarzuola si denudava per essere ed esprimersi per quello che era. E la gente pensava che fosse un folle. Quindi almeno nel privato siate folli, così vi salvate, perché i folli sono i creativi».

Per un po’ di secondi aleggia il silenzio, poi Marco Solari regala un grande sorriso, apre le braccia per salutare tutti e si allontana. Qualcuno lo insegue per un’ultima spiegazione, e parla con lui in disparte, come in una confessione. La maggior parte si dirige verso l’uscita, c’è chi commenta ad alta voce dicendo che non ha capito molto ma che è stata comunque una bella gita. Altri invece vanno avanti in silenzio, come se, dopo tutto quello che hanno ascoltato, si stessero facendo delle domande da soli e cerchino le risposte. Altri ancora sono entusiasti e sembra quasi che questo cammino interiore li abbia portati verso nuove direzioni. Io esco un po’ frastornato ma capisco che è stato comunque un bel viaggio in questa città ideale, un sogno nel sogno.

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