Félix Vallotton, l’artista che ha raccontato la bellezza

Il 2025 è l’anno in cui ricorre il centenario della morte di Félix Vallotton, pittore e artista grafico dall’indole eclettica e anticonformista. Per omaggiare il maestro svizzero-francese, proponendo al pubblico la sua originale e variegata produzione, è stato organizzato un ricco programma di esposizioni sul territorio elvetico che ha coinvolto il Musée Jenisch di Vevey, il Kunst Museum Winterthur, il Musée cantonal des Beaux-Arts di Losanna (dove si conserva la più grande collezione al mondo di opere dell’artista) e il Museo Castello San Materno di Ascona.

In questo contesto celebrativo, la rassegna ticinese documenta il percorso di Vallotton attraverso una cinquantina di lavori provenienti per la maggior parte da una raccolta privata svizzera esposta di rado, diventando così un’occasione unica per poter ammirare dipinti e cicli grafici dell’artista altrimenti difficilmente godibili.

Puntuale e accurato nell’osservare la realtà circostante e scrupoloso nel restituirla nelle sue opere, Vallotton è sempre riuscito a coniugare il suo piglio analitico e la sua nitidezza formale con una ricerca quasi maniacale della bellezza: «La castità volitiva del suo tratto, l’ardore malinconico del suo colore e il rigore della sua composizione hanno un fascino che penetra lentamente negli occhi e nella mente, ma che sicuramente arriva al cuore», così scriveva nel 1905 il critico d’arte Joachim Gasquet a proposito dei lavori dell’artista.

La posizione di spettatore impassibile che scruta l’esistenza per riuscire a scandagliarla nelle sue miriadi di prospettive è resa nota da Vallotton stesso in un’annotazione del 1918 in cui si definisce «colui che da dietro una finestra osserva come si svolge la vita, senza farne parte». Un’ammissione, questa, che lo vede consapevole di un modo di fare arte i cui presupposti sono la distaccata obiettività con cui guardare il mondo e l’autenticità con cui riconsegnarlo agli occhi altrui.

Sebbene non abbia mai disdegnato il confronto con i modelli della storia dell’arte e con le correnti avanguardistiche a lui coeve, Vallotton ha percorso con fermezza un cammino autonomo, identitario, preferendo di gran lunga assecondare le proprie attitudini piuttosto che uniformarsi a tendenze in cui non si riconosceva pienamente. Emerge così una cifra stilistica personale, capace di semplificare la pittura caricandola allo stesso tempo di molteplici connessioni emotive e stratificazioni di senso.

L’itinerario espositivo di Ascona testimonia le tappe artistiche principali di Vallotton incominciando dagli esordi negli anni Ottanta dell’Ottocento, periodo in cui, trasferitosi a Parigi per studiare all’Académie Julian, il pittore si dedica principalmente alla ritrattistica per assicurarsi una fonte di sostentamento. Oltre a effigiare la borghesia francese, Vallotton si dà da fare scrivendo recensioni di mostre, lavorando come restauratore e realizzando, con grande versatilità, libri illustrati e programmi teatrali.

Del 1892 è la sua adesione ai Nabis («profeti», in lingua ebraica), gruppo interessato a una pittura dalle forme essenziali e dai colori piatti nonché evocatrice di un’atmosfera simbolista e mistica. Pur lasciandosi ispirare da questi artisti, Vallotton interpreta a proprio modo le loro teorie mantenendo sempre, come da sua natura, una certa distanza. Non a caso viene soprannominato dai colleghi «Le Nabi étranger», un po’ per le sue origini elvetiche e per il suo carattere introverso, un po’ per la sua risolutezza nel non condividere del tutto i dettami del movimento.

Dopo una fase di transizione, durata dal 1901 al 1908, in cui predilige i soggetti paesaggistici declinati anche in rappresentazioni della scena urbana parigina, Vallotton approda alla stagione della maturità, periodo in cui, fino alla morte avvenuta nel 1925, sviluppa ulteriormente l’iconografia del paesaggio grazie ai suoi numerosi viaggi in tutta Europa.

È così che, toccando i momenti salienti della carriera dell’artista, la mostra asconese si concentra su alcuni dei temi pittorici prediletti da Vallotton. I nudi femminili, ad esempio, raffigurazioni di donne che non incarnano il classico ideale di bellezza ma che, nel loro apparire austero, sospeso tra seduzione e indifferenza, si fanno portatrici di conflitti e discrepanze. Ecco poi i già citati paesaggi, come Bords du Léman del 1892 e Le phare, soir del 1915, nonché le vedute urbane, come il dipinto che immortala uno scorcio di Perugia in cui l’artista si serve di una prospettiva insolita per rappresentare gli edifici e i vicoli della città. Nell’ultimo periodo Vallotton si dedica anche alla natura morta, accostandosi a essa con un approccio attento a indagare gli oggetti nella loro varietà di forme e di materiali e nel loro equilibrio compositivo.

Se Vallotton è stato molto apprezzato in veste di pittore, lo è stato ancor di più in quella di grafico, tanto da essere elogiato da critici e colleghi come grande innovatore in questo ambito espressivo. Bastino su tutte le parole dello storico dell’arte tedesco Julius Meier-Graefe, che nella monografia del 1898 dell’artista scrive: «Vallotton ha tratto così tanto dalla xilografia che poteva tranquillamente rinunciare all’ambizione di farsi un nome anche come pittore».

Dopo un iniziale interesse per l’acquaforte, a partire dal 1891 Vallotton si applica infatti alla xilografia, che apprende all’Académie Julian dall’amico e maestro Charles Maurin. In poco tempo l’artista dà vita a un linguaggio peculiare e inconsueto, contraddistinto dall’utilizzo della tecnica à plat (grazie a cui emergono campiture uniformi con contorni di linee nette) e da forti contrasti di bianco e nero. A influenzare Vallotton sono in primis le stampe giapponesi, sulla scia della passione per l’arte orientale che coinvolge l’Europa a metà Ottocento e che conquista la Francia a seguito della partecipazione del Giappone all’Esposizione Universale di Parigi.

Complice la visita nel 1890 alla grande Exposition de la gravure japonaise presso l’École Nationale des Beaux-Arts, Vallotton, insieme ai suoi compagni Nabis, si lascia suggestionare dalla bidimensionalità decorativa, dalla riduzione delle forme e dai tratti stilizzati tipici dello stile nipponico, rielaborandoli poi secondo una modalità espressiva personale. In mostra ad Ascona, emblematica dell’influenza delle stampe giapponesi è la serie grafica dedicata alle montagne, in cui l’artista, nel raffigurare il Breithorn, il Cervino, la Jungfrau, il ghiacciaio del Rodano e il Monte Bianco, rivela anche la sua attrazione per le opere del pittore Katsushika Hokusai.

Realizzato con la tecnica della zincografia è invece il ciclo dal titolo Paris intense, in cui Vallotton si concentra sulla vita metropolitana parigina ritraendo, non senza umorismo, i cambiamenti che la modernità ha portato in città durante la Belle Époque.

Ritenute l’apice della maestria di Vallotton nell’uso della xilografia sono le Intimités, lavori che vedono l’artista riflettere sulla complicata relazione tra uomo e donna. Qui le superfici scure non solo evidenziano la preziosità degli interni raffigurati ma si fanno portatrici di forti emozioni, come la paura, il sospetto e l’imbarazzo, ovvero tutto ciò che si nasconde dietro la facciata puritana di tante esistenze. Il profondo nero di Vallotton non è dunque solo ombra, buio e silenzio, ma anche tensione, inquietudine, grido.

Nella pittura così come nella grafica Vallotton ha creato un’opera di grande originalità che con precisione, schiettezza e una certa dose di ironia ha saputo restituire la realtà e la vita con le loro insanabili contraddizioni ma anche con il loro ineluttabile fascino.

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