Look da turista in partenza

«Perché ci vestiamo come un’altra persona quando siamo in vacanza?» si chiede Eva Sandoval, una giornalista della gloriosa BBC. La domanda non è affatto banale. Per provare a rispondere dobbiamo tornare alla seconda metà dell’Ottocento, quando il turismo si diffonde in tutta Europa. In quegli anni l’abbigliamento delle classi elevate – le prime a mettersi in viaggio – era regolato da rigidi codici sociali. Soprattutto le donne erano limitate nei movimenti, a causa di abiti formali ed elaborati (ricordate i famosi corpetti di stecche di balena?).

Alcuni dei primi turisti tentarono di portare in vacanza tutto questo armamentario, anche perché viaggiavano per mesi, alternando villeggiature marine e terme, feste eleganti e momenti più rilassati. I pionieri dell’alta società fecero così la fortuna di Louis Vuitton, un giovane fabbricante di bauli da viaggio su misura. Ma la media borghesia presto comprese che con questi abiti era impensabile salire e scendere da treni e battelli, passeggiare in montagna o nei boschi, adattarsi a temperature diverse. Di conseguenza adottò vestiti più semplici, pratici e leggeri.

I manifesti dei nostri laghi di fine Ottocento mostrano un abbigliamento ancora formale ma comodo: la «moda da viaggio», come si diceva allora. E quindi abiti traspiranti in lino o seta per le donne; vestiti di flanella per gli uomini, con pantaloni ampi e comodi, un cappello di paglia e magari un bastone da passeggio. Questo desiderio di comodità rimase anche dopo il ritorno e lentamente, insieme allo sport, cambiò il modo di vestire di ogni giorno. Il nostro abbigliamento discende proprio da quelle lontane esperienze.

Nel secondo dopoguerra milioni di lavoratori andarono in vacanza per la prima volta. L’eleganza era l’ultimo dei problemi e in viaggio cercavano solo la comodità. E dunque, nel caso degli uomini, si indossavano arditamente calzoncini corti, canottiere e capellini da pescatore; un campionario del cattivo gusto. In quegli anni, quando spesso i locali vestono ancora poveri ma dignitosissimi abiti tradizionali, il turista di massa diventa immediatamente riconoscibile per il suo abbigliamento. È un viaggiatore ingenuo, inesperto, goffo; di conseguenza i turisti borghesi, che ora preferiscono essere chiamati «viaggiatori», cercano di prendere le distanze e vestono con maggiore cura, spesso prendendo ispirazione proprio dai costumi dei Paesi visitati.

Acquistare abiti del luogo è uno dei piaceri del viaggio e ha contribuito alla circolazione di tessuti, fogge e temi, specie quando grandi marchi hanno cavalcato questa spontanea inclinazione dei turisti. In questo gioco, peraltro, è facile cadere nell’anacronismo. I foulard svolazzanti e i grandi occhiali da sole richiameranno pure la Roma de La dolce vita, ma il film è del lontano 1960 e nell’Urbe più nessuno veste così; né in Sicilia le donne indossano più gli abiti neri tradizionali riscoperti da Dolce & Gabbana.

La moda è per definizione in perpetuo movimento, anche soltanto per rispondere all’introduzione di nuove regole. Per esempio dopo il 2000 la diffusione dei voli low cost ha ridotto drasticamente le dimensioni del bagaglio (quanto meno se si vuole evitare un cospicuo sovraprezzo). E così in rete si sono moltiplicate le guide per acquistare zaini della misura esattissima, per piegare gli abiti con precisione chirurgica o indossarli in più strati. In questa fase il viaggiatore esperto si distingue per la capacità di viaggiare con un bagaglio minimale. Nel 2010, ad esempio, un noto scrittore americano, Rolf Potts, per scommessa ha fatto il giro del mondo senza valigia (cinque continenti, sei settimane, cinquantamila chilometri). Ma poi, sempre a partire dal 2010, Instagram ha progressivamente ribaltato questa logica.

Gli influencer posano in luoghi da sogno con impeccabili completi sponsorizzati e i loro follower cercano di imitarli, facendo nuovamente lievitare il bagaglio. I luoghi diventano scenografie dove sperimentiamo nuove sfumature della nostra identità. In vacanza possiamo sfoggiare capi che nella vita di tutti i giorni sembrerebbero eccessivi, inappropriati o poco pratici. Soprattutto chi al lavoro deve indossare una divisa, trova un’occasione per esplorare un altro lato della propria personalità, più spensierato, gioioso e rilassato. Anche per questo viaggiamo.

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