Come risollevarsi dal pantano?

Si può diventare potenti piangendo in mondovisione? La domanda è più che mai attuale, dopo che Rachel Reeves, prima cancelliera della storia del Regno Unito, ha trattenuto a fatica un paio di lacrime e un tremolio del labbro in Parlamento e, con questa immagine di esasperazione, ha scatenato sui mercati un momento panico che non si vedeva dai tempi delle sconsiderate uscite della ex premier Liz Truss: sul momento la sterlina ha perso quota e i bond sono saliti, meno che ai tempi della finanziaria più pazza del mondo dell’autunno del 2022 ma comunque abbastanza da risvegliarne il fantasma. Solo in un primo momento, però. Tutto è infatti tornato alla norma una volta ottenuta la garanzia, che il suo capo Keir Starmer non aveva voluto inizialmente dire – da qui le lacrime, anche se ufficialmente c’era un problema personale precedente – che sarà lei, con il suo rigore fiscale e la sua impermeabilità al populismo, a curare anche in futuro i conti pubblici di un Regno Unito molto in crisi. E dopo lo choc iniziale, nelle ultime settimane è stato tutto un fiorire di commenti incoraggianti sulla grande stampa finanziaria, da «The Economist» al «FT» alle newsletter degli analisti. Le lacrime le hanno dato uno spazio politico che prima non aveva: era donna, era seria, era preparata, faceva tutto quello che le diceva il boss e, se qualcosa andava male, si prendeva la colpa. Ora non è più così.

Quella di Reeves è una parabola piuttosto singolare, perché quel giorno alla Camera il Governo, quello sì davvero singhiozzante, di Starmer stava per festeggiare un anno ed era alle prese con l’ennesima inversione di rotta su una misura necessaria dal punto di vista dei conti pubblici ma altamente impopolare, ossia il taglio dei sussidi per i disabili, su cui rischiava una ribellione enorme della sua pur larga maggioranza. Per questo ha sacrificato i tagli da 6 miliardi previsti da Reeves e necessari non solo per sanare le finanze, ma anche per rispettare le stringenti regole di bilancio che il Governo, nella sua lontana luna di miele con gli elettori, si era dato, nella speranza che una crescita vigorosa compensasse tutto. All’epoca Reeves amava descriversi come la «cancelliera di ferro», inflessibile davanti ai vincoli, che hanno però finito con lo stritolare il campo d’azione del Governo e costringerlo ad un primo aumento di tasse da 40 miliardi di sterline nell’ultima manovra. Solo con qualche bizantinismo si è evitato che questo aumento riguardasse i «working people» che, si era promesso nel manifesto elettorale, sarebbero stati risparmiati ad ogni costo.

Ma la crescita non c’è stata: ad aprile e maggio il Pil è sceso rispettivamente dello 0,3% e dello 0,1%, l’inflazione è ancora alle stelle al 3,6% e appare difficile che in questo contesto la Bank of England abbassi i tassi. Il deficit è al 5,7% e il debito al 94%. Insomma, il Governo non sta mantenendo le promesse e soprattutto, come notato da ogni possibile commentatore in occasione del primo anniversario della vittoria di Starmer, il premier si è mostrato singolarmente privo di qualunque scaltrezza politica o capacità di vendere le sue decisioni: la retorica del sacrificio gli ha preso la mano in maniera eccessiva nei primi mesi del mandato e su quasi tutto è stato costretto, per mancanza di convinzione, a fare un passo indietro. Questo è valso per i conti pubblici come per l’immigrazione, mentre in politica estera si è mostrato molto più fermo e convincente. In questo la rigida Reeves non è stata d’aiuto, essendo anche lei una comunicatrice spigolosa tutta presa a dare un’immagine intransigente. Solo che questa intransigenza è stata sistematicamente sbriciolata dalla necessità di andare incontro alle richieste politiche di deputati che, in buona parte, non hanno capito di essere in Parlamento proprio grazie alla promessa di essere responsabili, diversi dal Labour di Jeremy Corbyn, che intanto si sta muovendo per fondare un nuovo partito, e dalla staffetta dei premier Tories – Cameron, May, Johnson, Truss, Sunak – che hanno portato il Paese alla Brexit e al disastro.

La performance di Reeves non ha conquistato i cuori, ma i mercati non hanno cuore: a loro interessa soprattutto che l’enorme debito pubblico britannico non sia nelle mani di un cancelliere dalla spesa facile. Non solo, la stabilità è un valore in sé, al di là che protegga una performance brillantissima o appena accettabile. Più che le lacrime, a far paura è stato il fatto che nel momento in cui cedeva al ricatto della sua maggioranza su un tema importante, certo, ma drammaticamente privo di copertura finanziaria, Starmer abbia messo in dubbio il futuro di Reeves, lasciando aperte le porte all’ipotesi di una sostituzione con qualcuno di più lassista oppure di una figura responsabile ma con una maggiore capacità di persuasione. Questo non è avvenuto e tutte le ultime mosse della cancelliera, compreso la richiesta ai regolatori di dare più ossigeno alle imprese, con meno esigenze di burocrazia e meno vincoli, sono stati accolti con una certa benevolenza. Ora l’appuntamento è in autunno, quando la cancelliera svelerà se ricorrere o meno a un eventuale aumento delle tasse per i lavoratori, sulla cui definizione al momento è in corso un dibattito surreale, e rischiando di penalizzare ancora gli investimenti. Non ha molto spazio di manovra, soprattutto per scelte sbagliate fatte inizialmente, ma magari entro allora il suo disegno complessivo sarà più chiaro, così come quello del Governo Starmer, che in questi tempi ha fatto sentire il suo peso sospendendo alcuni deputati ribelli per evitare di finire troppo in balia dei suoi, come avvenuto in passato.

Il Governo ha dalla sua di essere stato risparmiato dai dazi trumpiani, che nel caso di Londra si sono fermati a un mite 10%, meno devastante rispetto a quelli verso Bruxelles. Inoltre, come sottolinea «The Economist», il Regno Unito nel suo insieme è un Paese in cui gli asset sono al momento a basso costo e dove impiegare un esperto di tecnologia ha costi più vicini all’India che al Texas. Sulla base di questa nuova dimensione, può cercare di tirarsi su dalla palude in cui è finita. Con una cancelliera che ha subito una misoginia atroce, con i Tories che l’hanno soprannominata «Rachel della contabilità» come fosse una segretaria qualunque, ma che ora, grazie a due lacrime, potrebbe aver acquisito una voce, e con quella voce dice «smettete di chiedermi cose impossibili e lasciatemi lavorare».

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