Il lungo ritorno di Sitti Maani

Veniva dalla Mesopotamia, la terra tra i due fiumi sacri, culla della nostra cultura. Assira di padre caldeo e madre armena, cristiana, Sitti Maani Juwayri (in italiano Gioerida), era nata a Mardin, in Georgia, e cresciuta a Baghdad. Il suo nome rimanda alla sapienza e alla nobiltà. Ha attraversato continenti, oceani e deserti – eppure non li ha visti. Arrivò a Roma in segreto, nella carrozza del maestro di casa di suo marito, Pietro della Valle, in un’afosa notte di luglio del 1626. Fu nascosta nelle stanze del palazzo di lui, sulla via Papale, ora corso Vittorio, in attesa del suo arrivo da Terracina. Ma da tempo non era più viva. Pietro Della Valle, ribattezzatosi il Pellegrino – il Marco Polo del Seicento e il primo viaggiatore nel senso moderno – non la vedeva dal 30 dicembre 1621.

Quel giorno Sitti Maani, stremata dalla malaria e ormai in agonia, aveva chiesto di lasciare la tenda e stendersi sulla nuda terra, accanto a Pietro, «per venirmi a morire a lato, dalla parte del mio cuore». Erano bloccati nel deserto della Caramania dall’inizio di dicembre, accampati nella piana sotto il castello di Minah, sperduto avamposto sulle rive del golfo di Hormuz. Dovevano prendere una nave per l’India, ma la guerra fra portoghesi e spagnoli da una parte e persiani e inglesi dall’altra non permetteva il passaggio dello stretto. Le paludi erano infestate di zanzare. Si ammalarono tutti, ma lei di più. Per la febbre aveva abortito il loro primo figlio. Il feto, un maschio di quattro mesi, non era «lungo più di mezzo palmo, ma del tutto formato».

Sitti Maani esalò l’ultimo respiro tenendogli la mano, con gli occhi a lui rivolti. Aveva ventitré anni. Pietro ne fu devastato, perché l’amata era ormai il senso stesso della sua vita. Non poteva separarsi da lei, né abbandonarla in quella pianura malefica, in un sepolcro che sarebbe stato profanato dagli infedeli. Dopo l’India, dovevano tornare a Roma insieme. Pure Sitti Maani lo desiderava: perché solo il ritorno avrebbe coronato le peregrinazioni del suo Ulisse. Pietro avrebbe voluto imbalsamarla, ma non aveva strumenti adatti né conosceva la tecnica degli Egizi per estrarre gli organi interni (solo il cuore, che gli fu offerto «condito» in una coppa). La avvolse nelle bende, la ricoprì di canfora indiana, la chiuse in un involucro di tela cerata a sua volta stretto in pelli di animali, fece fabbricare 190 chiodi, la sigillò in una cassa di legno, e la portò con sé nel prosieguo del viaggio, su barche e tartane, a dorso di mulo, di cavallo, di cammello, insieme alle curiosità, ai codici, alle erbe rare, ai cimeli archeologici e alle mummie del tempo dei faraoni prese nei dintorni del Cairo (intendeva donarle all’amico Athanasius Kircher).

Sitti Maani morta lo seguì in India, gli fu accanto per anni, mentre esplorava quel paese misterioso, e tornò con lui nella penisola arabica. Insieme, in piena estate, attraversarono il deserto infuocato fra Bassora e Aleppo, affrontarono i predoni e i gabellieri. Salirono su un vascello per Cipro, e poi per Malta, e infine per Napoli. E solo alle porte di Roma Pietro l’affidò al suo maestro di casa. Non voleva ancora far sapere di aver portato con sé la salma della moglie straniera. La corte, la città, gli amici non erano pronti.

La sera stessa del suo ritorno, Pietro convocò le donne di casa, la figlia illegittima Silvia (lasciata a Roma quando nel 1614 si era avventurato nel mondo), la fidata cugina Laura Caetani, che aveva difeso le sue proprietà quando parenti e banchieri volevano usurparle considerandolo morto (non dava da tempo sue notizie), e schiodò la cassa della sposa. Il macabro rito, vertice dello spirito barocco, fu l’atto estremo del loro amore. Della testa e del bel viso di Sitti Maani Gioerida restava solo il teschio. Pietro non volle rompere il resto della sindone. Richiuse la cassa, la sigillò in un ulteriore sarcofago di piombo, e il giorno dopo, senza cerimonia, la accompagnò lui stesso nella tomba, nella basilica dell’Ara Coeli, sul Campidoglio, dove la famiglia della Valle era titolare della cappella di San Paolo: lì giacevano gli antenati, e ora anche Sitti Maani faceva parte della famiglia. Lì lo avrebbe aspettato, per risorgere insieme dalle ceneri.             (…continua)

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