«La fame è un’arma di guerra»

A Gaza, sotto le bombe, ci sono anche persone volontarie che rischiano la vita per portare aiuti concreti ai palestinesi intrappolati. Alcune di loro operano per Gazzella Onlus, un’associazione senza scopo di lucro che da anni si occupa di assistenza, cura e riabilitazione dei bambini palestinesi feriti da armi da guerra nella Striscia. «La situazione a Gaza non è mai stata così grave. Dall’inizio della guerra sono stati uccisi quasi 18’000 bambini: una media di 28 al giorno. È come se ogni giorno morisse un’intera classe». A riferirlo è Rosalia Bollen, portavoce dell’Unicef attiva sul campo. Settimana scorsa sono arrivate testimonianze dirette, con video agghiaccianti, del bombardamento israeliano del punto fisso di distribuzione dell’acqua nel campo profughi di Nuseirat dove Gazzella Onlus opera. «L’associazione distribuisce acqua lì tutti i giorni – dicono i volontari – oltre alla distribuzione che avviene con camion cisterna e con trasporto trainato da animali. Un volontario che si occupava della distribuzione è stato ucciso assieme a una decina di persone (molti bambini) che erano in fila per prendere l’acqua. Tanti i feriti. È stato ucciso anche il fratello di una delle volontarie che fanno il pane: si trovava nei paraggi per caso. Non ci sarà distribuzione né di pane né di acqua. Speriamo di riprendere presto». Alcuni dei volontari sono usciti dalla Striscia e tentano di trovare vie per organizzare sostegno dal Libano. Altri sono rimasti, si sentono nel mirino dell’esercito israeliano e parlano solo a patto che non compaia il loro nome. Descrivono l’inferno.

Anna T. racconta: «Gli aiuti sono una trappola. Israele ha imposto un sistema che è una macchina mortale. I palestinesi lo sanno ma l’alternativa è morire di fame e di sete. Possono resistere un po’, ma alla fine si devono arrendere alla catena di distribuzione degli aiuti. La macchina stritolatrice si chiama Gaza humanitarian foundation. Funziona così: i siti attualmente funzionanti per la distribuzione degli aiuti, capillarmente controllati da Israele, sono soltanto quattro e sono sotto le armi puntate dell’esercito israeliano. Gli affamati palestinesi – perché tutta la popolazione civile è ridotta alla fame, che è un’arma di guerra – devono andare fin lì, devono camminare per ore, più morti che vivi, per arrivare in uno di questi quattro posti altamente militarizzati, con un unico varco per entrare. Tutti sembrano vacche magre in fila per il macello e, mentre cerchi cibo per i tuoi bambini, ti possono sparare e infatti i militari israeliani sparano». Fonti confermano che in questi luoghi altamente militarizzati, non evitabili per chi non vuol lasciarsi morire di fame, l’esercito israeliano ha ucciso bambini e ragazzi. Sparano durante la distribuzione di misere razioni di cibo e acqua. Intanto a Gaza non esiste assistenza sanitaria. Manca tutto. Quindi molti muoiono perché restano a terra e perdono sangue. Nessuno può intervenire per evitare che muoiano dissanguati. E chi sopravvive? Chi ce la fa? Racconta un altro volontario R.: «Senza acqua potabile e senza combustibile non funziona niente in emergenza. Chi ce la fa ad avere qualcosa sta con gli altri tra pietre e macerie, tra tutto quel che vedete anche voi perché le immagini da qui sono uscite e voi le vedete, sta dentro questa distruzione cercando di mettere in bocca una piccola cosa, se l’ha trovata, per non morire di fame».

Intanto la politica temporeggia. È di martedì 15 luglio la notizia che i Paesi membri dell’Unione europea hanno deciso di non sanzionare Israele, in una riunione dei ministri degli affari esteri. Riuniti un’ultima volta prima delle vacanze estive a Bruxelles, i 27 ministri dovevano prendere posizione sul seguito da dare al rapporto presentato dalla capa della diplomazia europea, Kaja Kallas, sul mancato rispetto da parte dello Stato ebraico dell’accordo di associazione con l’Ue. Dovevano rispondere all’affermazione chiarissima fatta nel documento: «Ci sono indicazioni secondo cui Israele non avrebbe rispettato i suoi obblighi in materia di diritti umani», e l’articolo 2 dell’accordo prevede esplicitamente che quegli obblighi vanno rispettati. Tuttavia gli Stati dell’Unione si sono rifiutati, per il momento, di approvare alcune delle 10 misure di sanzioni possibili elencate da Kallas durante la riunione. Queste sanzioni vanno da una sospensione dell’accordo di associazione a misure più mirate, come un embargo contro i prodotti provenienti dalle colonie ebraiche della Cisgiordania o la sospensione della partecipazione di Israele ad alcuni programmi europei. Niente, è stato deciso di non fare niente. Intanto i massacri di civili continuano.

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