Pensieri canicolari

«Il fuoco è metafora della vita, uno dei princìpi di spiegazione universale. Splende in paradiso. Brucia all’inferno. È dolcezza e tortura. È buono e crudele, è veramente un dio».

Sono parole del filosofo Gaston Bachelard che alla riflessione sul fuoco ha dedicato pagine bellissime, intrecciando razionalità e immaginazione, coniugando l’indagine scientifica sul fenomeno del calore, cui ha dedicato studi importanti, con riflessioni sorprendenti attorno al valore simbolico dell’esperienza del fuoco. Nel 1967, nel saggio Psicoanalisi del fuoco, scrive: «La scienza si forma più su una fantasia che su un’esperienza e sono necessarie parecchie esperienze per cancellare le nebbie del sogno». Nelle opere dedicate agli elementi naturali, Bachelard coglie la ricchezza e la complessità del nostro modo di abitare la vita e di comprendere il mondo, non solo attraverso il pensiero ma innanzitutto attraverso l’immaginazione. La fantasticheria è radice feconda della nostra umanità perché ci mette in contatto con la realtà dei nostri più intimi vissuti, e sa parlare il linguaggio dell’anima.

Bello farsi accompagnare da questo suo sguardo che raccoglie, come in un abbraccio, ragione scientifica e creazione poetica.

«Il fuoco è paradiso e inferno, dolcezza e tortura», dice il filosofo. Di questa radicale ambivalenza possiamo fare esperienza in prima persona nel nostro vivere e convivere. Possiamo riconoscere il valore inestimabile del calore umano, o la potenza del cosiddetto fuoco sacro, energia e passione vitale o, ancora, possiamo contemplare la grandiosa bellezza della fiamma olimpica, imperitura metafora della vita. Ma ci tocca convivere anche con inquietanti armi da fuoco e con pericolose teste calde, scongiurando il rischio di inopportune reazioni a caldo.

Nei trascorsi giorni di grande calura mi è apparso ancor più chiaro il senso di questa ambivalenza. L’esperienza del calore esagerato di quelle giornate è diventata così una specie di provocazione che mi ha spinta a ripensare alle rappresentazioni simboliche con cui questo elemento primordiale ha attraversato la nostra civiltà, fin dalle origini mitologiche.

Prometeo, un titano figli di Giapeto, ruba il fuoco a Zeus per donarlo agli uomini e per questo suo gesto ribelle viene incatenato a una rupe e punito atrocemente. In questo celebre mito, che in molteplici versioni ha attraversato tutta la cultura occidentale, il fuoco è simbolo delle potenzialità del genere umano, portatore di luce e di progresso nel divenire dell’umanità. Con il fuoco Prometeo dona agli uomini il potere della tecnica e della conoscenza.

La punizione di Zeus, così apparentemente estranea alla nostra cultura, richiama invece, con sorprendente attualità, quella hybris, quella tracotanza che da sempre alimenta il desiderio umano di superare i limiti della propria condizione. «Amò i mortali oltre misura», dice Eschilo nel Prometeo incatenato.

Ispirata al «nulla di troppo» immortalato sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, buona parte della filosofia greca può essere considerata una grandiosa lezione di etica che attraversa i secoli e fonda sul valore del limite la possibilità di orientare l’agire di una vita buona e felice.

In questo contesto etico è interessante la versione del mito che Platone racconta nel Protagora. Poiché gli uomini erano sprovvisti di qualità naturali distribuite agli altri animali, Prometeo rubò la sapienza tecnica di Efesto e di Atena insieme al fuoco, «perché acquisire o impiegare questa tecnica senza il fuoco era impossibile». Ma questo dono non era sufficiente, né per proteggersi dagli altri animali né tantomeno per convivere in armonia. C’era bisogno di un altro dono, erano necessari pudore e giustizia, ovvero la virtù etico-politica della convivenza, nel rispetto reciproco del limite.

Come ben sappiamo, il messaggio degli antichi è stato quasi sempre inascoltato nel corso della storia, e a tutt’oggi la hybris, invincibile tracotanza che spinge gli uomini a superare ogni limite, gode di ottima salute.

È così che la dolcezza del fuoco, simbolo del desiderio di conoscenza e dell’intelligenza tecnica, diventa inferno e tortura.

Anche la canicola ha qualcosa da dirci in proposito. Anche lei ci racconta di squilibri e di emergenze climatiche, di surriscaldamento atmosferico e di siccità, di desertificazione e di cementificazione. Il fuoco buono, simbolo del progresso che rende possibile l’espressione della nostra umanità, mostra il suo volto di fuoco crudele, in ostaggio alle forme rinnovate di hybris che continuano ad alimentare il nostro sguardo antropocentrico sulla vita.

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