Per costruire case e stalle, in passato, si utilizzavano materiali disponibili nelle vicinanze. Nel limite del possibile tutto era di provenienza locale: sassi, pietre e legname principalmente. Per completare l’opera un altro elemento era poi essenziale o comunque utile: la calce.
La calce è un prodotto ottenuto da determinante tipi di rocce e si utilizza come legante per la preparazione di malta, come tinteggio e anche per la disinfezione nelle stalle. Prima dell’avvento di quella industriale, chi voleva costruire e usare la calce doveva ingegnarsi nel reperirla o, spesso, nel fabbricarla. Ed è quanto era in uso anche tra Ghirone e Campo Blenio fin verso il 1950, come dimostrano alcune fornaci rinvenute sul territorio, di cui tre recuperate e valorizzate nell’ambito di un progetto promosso dalla Parrocchia di Ghirone, realizzato tra il 2023 e il 2025.
L’interessante iniziativa, a carattere paesaggistico, storico, culturale e pure turistico, ha permesso di salvare dall’oblio delle importanti testimonianze del passato rurale, come racconta Renzo Giamboni, presidente dell’ente promotore e tra i precursori degli interventi: «Durante le mie passeggiate sul territorio ho sempre notato queste costruzioni ormai abbandonate e dimenticate, finché mi sono detto che sarebbe stato un peccato perderle per sempre e quindi abbiamo studiato un progetto per salvarne alcune». Gli scopi principali, racconta Giamboni, erano essenzialmente tre: recuperare tre fornaci per consegnarle integre alle prossime generazioni, creare un percorso didattico e coinvolgere le scuole della regione. Tre obiettivi raggiunti anche grazie al sostegno dei Comuni di Seravalle, Blenio e Acquarossa, dell’Ente regionale per lo sviluppo Bellinzona e valli, del Dipartimento del territorio e di altri partner, tra cui il Percento culturale di Migros Ticino.
I manufatti sono oggi tornati a splendere nella regione dopo gli interventi di ristrutturazione che, affidati ad artigiani locali, sono stati lunghi e impegnativi, dato lo stato d’abbandono delle fornaci, ridotte a un ammasso di sassi e invase dalla vegetazione. Le strutture, ora consolidate e ricostruite in modalità differenti per osservarne meglio l’interno di alcune, si auspica possano diventare un’attrazione per le scuole, ma anche per un turismo attento a questi aspetti culturali: «Nella regione mancava un percorso tematico e siamo contenti di poterne ora proporre uno anche noi, grazie a queste testimonianze salvate dall’oblio», aggiunge Giamboni.
Le fornaci si trovano nelle località di Buttino, Sotto Pinadaigra e Calcarida (su alcune mappe indicato Carcarida), unite lungo un anello pedestre di circa otto chilometri. Il percorso, inaugurato lo scorso 20 giugno, è accompagnato da tre pannelli didattici dove in sequenza si spiegano i procedimenti utilizzati un tempo per ottenere la calce.
A Buttino, in territorio di Ghirone, s’inizia parlando della roccia necessaria per ottenere la calce, che veniva prelevata nei dintorni e poi utilizzata, a procedimento concluso, anche in diversi rustici ancora presenti in zona. Si tratta di una roccia sedimentaria molto diffusa, costituita essenzialmente da calcite. Le pietre venivano trasportate, con l’aiuto di carri trainati da buoi, nei pressi delle fornaci posizionate vicino a dei fiumi o torrenti per l’acqua e prossime ai boschi per la legna. Le strutture venivano costruite scavando parzialmente il fianco di un pendio, in modo che l’isolamento naturale facilitasse il mantenimento delle alte temperature necessarie alla cottura delle pietre calcaree. Entro l’incavo veniva quindi eretto un muro a secco, generalmente a forma circolare oppure con una sezione a botte.
Spostandoci a Pinadaigra, pure lungo il Brenno, il percorso entra nella fase centrale della produzione della calce, spiegando i vari stadi. La prima, quella del carico, era la più delicata e necessitava la costruzione di una volta di pietre che fosse in grado di sostenere tutto il carico di sassi. Sotto l’arcata veniva poi acceso il fuoco che doveva rimanere vivo e acceso ininterrottamente per circa una settimana, raggiungendo temperature attorno agli 800-1000 gradi centigradi. Le pietre, raccolte, trasportate e frantumate, cuocevano così lentamente nella fase di calcinazione. Quando la fiamma guadagnava gradualmente gli strati alti, uscendo infine dalla parte superiore della massa depositata, significava che la calcinazione era giunta al termine e si poteva smettere di alimentare il fuoco.
A Calcarida, in territorio di Campo Blenio e nei pressi di un’affluente del fiume d’Orsaira, troviamo la terza fornace e il terzo pannello, con indicazioni sugli ultimi passaggi del procedimento. Un lavoro complesso che richiedeva la presenza ininterrotta del calcinatore, che alloggiava sovente sul posto, sotto una tettoia al riparo da pioggia e sole. Una volta attenuato il fuoco, la calce viva ottenuta doveva ancora essere trasformata e si procedeva annacquandola in una vasca in legno detta «mortaio». Si otteneva così, in seguito a una reazione chimica, una pasta denominata calce spenta che poteva essere depositata nelle vicinanze in apposite fosse scavate nel terreno, dove e si conservava per decenni. Sui tre cartelli si trovano inoltre dei codici QR che rimandano al percorso e ad alcuni filmati sulla produzione della calce.
Un quarto pannello didattico, posto in zona Parco Saracino a Ghirone, è stato realizzato grazie all’attività svolta da una classe delle scuole di Olivone che, nel corso dell’anno scolastico 2024/2025. Gli allievi hanno anche incontrato Franco Scapozza, che in gioventù ha potuto osservare il padre all’opera in una fornace di Aquila e ha condiviso ricordi, aneddoti e vicissitudini. Come si può leggere sul tabellone, il lavoro nelle fornaci non era pericoloso, ma era faticoso e bisognava prestare attenzione. Si usavano diversi attrezzi ormai scomparsi ed erano gli uomini che se ne occupavano, dalle 7 di mattina alle 18.30 di sera con un’ora di pausa. In aggiunta ci sono poi fotografie storiche della Fondazione archivio fotografico Roberto Donetta, così come i disegni dei bambini.
Un mestiere del passato, abbandonato gradualmente tra il 1940 e il 1950 con l’arrivo della calce in sacchi prodotta altrove, ma che rivive grazie a queste testimonianze e alle tracce rimaste e valorizzate sul territorio.