Quando furono assegnati alla Svizzera, i Campionati europei femminili di calcio si erano profilati all’orizzonte a tinte pallide. Molto entusiasmo da parte dell’Associazione Svizzera di Football, ma anche scarsa attenzione da parte della politica, che aveva paventato un’importante riduzione del finanziamento promesso e, soprattutto, una preoccupante sensazione di tepore e di torpore da parte dei media e dell’opinione pubblica. Con l’avvicinarsi della manifestazione, abbiamo assistito a un inimmaginabile crescendo di passione e di entusiasmo. Oggi, a palla ferma, possiamo semplicemente affermare che l’Europeo è stato un successo colossale.
La Svizzera del calcio si è lasciata catturare. È stato sancito dai media nazionali e regionali, che hanno riservato all’evento una copertura degna di un Europeo declinato al maschile. Lo ha confermato il pubblico, che ha riempito gli stadi di colori, canti, «ole» festanti, lacrime e sorrisi. Per giunta, senza la radicalizzazione e l’acredine del tifo che contamina le manifestazioni maschili.
Anche il Ticino, pur non disponendo di uno stadio adeguato per ospitare una partita, si è messo in gioco con una ricca serie di manifestazioni collaterali, sin dalla fase di avvicinamento. Scopo dell’esercizio: far salire la febbre, scatenare l’entusiasmo. Missione compiuta.
Faccio un lungo salto a ritroso, agli anni Settanta, quando un gruppo di pioniere, con la maglia del Rapid Lugano, cominciava a tirare calci a un pallone sul campo sconnesso di Villa Negroni a Vezia. Quelle ragazze palesavano una tecnica approssimativa, avevano un atteggiamento tattico poco superiore a quello delle partite da oratorio, ma si mettevano in gioco con una grinta insospettabile. Un giorno, casualmente, dopo una partitella con degli amici, ci fermammo a vedere quella delle «rapidine». Ci avevano detto che fra le avversarie, se ricordo bene dello Zurigo, giocava anche l’olimpionica dello sci Marie Theres Nadig. Confesso che i nostri commenti, oggi sarebbero da querela. Il calcio femminile, da allora, ne ha percorsa di strada. Lo dobbiamo riconoscere, quello visto gli scorsi giorni, è tutt’altro sport.
Durante l’esecuzione del salmo svizzero prima della sfida dei quarti di finale con la Spagna, mi sono emozionato come non mi era mai capitato. Il pubblico dello Stade de Suisse ha cantato con le nostre ragazze. Pia Sundhage, allenatrice svedese della nostra nazionale, le accompagnava muovendo le labbra, probabilmente per scongiurare il pianto. Sulle tribune, il muro rossocrociato non ha smesso un solo istante di incoraggiare la squadra. Anche quando era sotto di due reti. Anche alla fine dell’incontro, quando le nostre calciatrici sono rimaste a lungo sul campo, reggendo uno striscione di ringraziamento ai fans. L’abbraccio tra tribune e campo ha distillato emozioni da pelle d’oca.
Ora però, si tratta di capitalizzare ciò che l’Europeo ha saputo proporre. Cosa accadrà il 23 agosto, quando si aprirà la nuova stagione della Super League femminile? Lucerna-Servette, oppure San Gallo-Young Boys, faranno registrare un insolito «sold out»? Dubito. Tuttavia, la strada è abbozzata. Si tratta di percorrerla, credendo che sia quella giusta. Serviranno più mezzi, più strutture, professionalizzazione dei ruoli, migliore copertura mediatica. In sostanza, più investimenti. Immagino e spero che le migliaia di persone che si sono divertite assistendo alle partite dell’Europeo, vogliano continuare a godere dello spettacolo, dando un’ulteriore spallata al muro dei pregiudizi.
Nelle scorse settimane, abbiamo capito che la portiera non è solo quella dell’automobile, che le difenditrici, quanto a «garra», non hanno nulla da invidiare ai difensori, che non dobbiamo più meravigliarci per certi gesti tecnici delle centrocampiste e delle attaccanti. Li sanno fare. Punto. E le trame di gioco, penso in particolare modo al calcio proposto dalla Spagna, sono a volte dei trattati di geometria.
Maria Macrì e Gaëlle Thalmann, le ottime opinioniste della RSI, sostengono che il nostro movimento è vivo, che in Svizzera ci sono delle giovanissime di talento, in grado di essere presto delle star planetarie. Magari, fra di esse, ci sarà anche qualche ticinese. Perché no? Se l’AS Gambarogno, quest’anno, ha portato a casa la Coppa Svizzera U19, significa che anche da noi l’humus è fertile.