Das Unheimliche (Il perturbante). Così Sigmund Freud, il fondatore della psicoanalisi, definisce un’immagine familiare ma al tempo stesso fuori contesto. E così mi appare Neuschwanstein, il castello costruito da Ludovico II al confine sud-occidentale della Baviera, sopra il villaggio di Hohenschwangau.
La rocca si staglia su uno sperone roccioso a circa mille metri di altitudine e domina la valle del fiume Pöllat. Le montagne boscose alle spalle gli fanno da sfondo, mentre si specchia nei laghi glaciali. In un effetto scenografico fortemente voluto e ricercato, il castello appare come sospeso tra cielo e terra.
Anche quando vedi Neuschwanstein per la prima volta, da lontano, l’impressione di un riconoscimento è fortissimo. Per cominciare è riprodotto infinite volte in tutte le forme su cartoline, calamite da frigo, tazze, portachiavi, puzzle, poster… Inoltre Walt Disney prese ispirazione proprio da Neuschwanstein per progettare il Castello della Bella addormentata a Disneyland, il primo parco a tema aperto nel 1955 ad Anaheim, in California. Da allora è diventato un simbolo visivo del mondo Disney e ha ispirato altre versioni simili nei parchi di Tokyo, Hong Kong, Parigi e Shanghai.
Ma torniamo all’originale. Quando costruì Neuschwanstein, Ludovico II attraversava un momento particolare della sua vita. Nel 1864 era diventato re della cattolicissima Baviera, il più importante Stato germanico dopo la Prussia di Bismarck. Ma proprio in quegli anni il «cancelliere di ferro» prese in mano le redini del mondo tedesco e, attraverso due guerre – con l’Austria nel 1866 e con la Francia nel 1870 – unificò la Germania. Ludovico II fu tagliato fuori dalla grande politica internazionale e il re, già eccentrico di suo, si rifugiò in una solitudine affollata di miti wagneriani, in una visione idealizzata del passato. E così, a partire dal 1869, imitò lo stile dei castelli medievali nel costruire Neuschwanstein e altre residenze reali. In quel periodo, del resto, tutta Europa era affascinata dallo stile neogotico, incarnato dagli edifici progettati dal celebre architetto francese Eugène Viollet-le-Duc.
Ludovico II morì in circostanze misteriose nel 1886, a soli quarant’anni, dopo essere stato sollevato dall’esercizio del potere con una diagnosi di pazzia. Neuschwanstein, da poco completato, era stato immaginato da Ludovico come un luogo sacro e inaccessibile, riservato al sovrano e a una ristretta cerchia di seguaci. Al contrario fu subito aperto al pubblico, quasi che il turismo fosse la sua naturale vocazione. Da allora ha accolto sessanta milioni di visitatori, un milione e mezzo solo nell’ultimo anno, con punte di seimila al giorno d’estate.
Ora Neuschwanstein, insieme agli altri palazzi di Ludovico II (Linderhof, Herrenchiemsee e la Casa Reale di Schachen), è stato incluso nella Lista del Patrimonio mondiale dell’UNESCO (World Heritage List, istituita nel 1972), un elenco che oggi conta oltre milleduecento siti culturali e naturali di valore universale. La motivazione ufficiale è che «i palazzi mostrano stili storicistici e tecniche avanzate del XIX secolo. Integrati con cura in paesaggi naturali spettacolari, incarnano la visione artistica di Ludovico di Baviera».
Questo riconoscimento mi ha colto di sorpresa. Fa una certa impressione trovare un’icona pop in un elenco tanto autorevole, insieme ai più importanti e austeri monumenti di ogni tempo e civiltà. Ma forse l’UNESCO ha colto invece il senso profondo di questo luogo, il suo significato modernissimo sotto apparenze antiche. Non a caso Andy Wharol, il principale esponente della pop art, era ossessionato da Ludovico II e realizzò una serie di ritratti serigrafici del re bavarese con colori brillanti e ripetizione seriale, come aveva fatto per esempio con Marilyn Monroe.
Inoltre Neuschwanstein è il castello più kitsch dell’Occidente, un parco a tema prima che lo stesso concetto fosse creato, un perfetto sfondo per i selfie quando ancora la fotografia muoveva solo i primi passi. Con tutti i suoi eccessi, questo meraviglioso castello parla di noi, della nostra superficiale modernità riflessa infinite volte nello specchio distorto della comunicazione. Neuschwanstein ci inquieta perché ci somiglia.