«La sera prima del suo settantesimo compleanno il poeta Gottfried Keller si trovava sulla terrazza di un albergo sopra il Lago dei Quattro Cantoni e sorseggiava una bottiglia di Gumpoldskirchner, lo sguardo rivolto all’imbrunire. (…) Il Seelisberg, adagiato nel cuore della Svizzera sul fianco di una roccia scoscesa, era una signorile stazione climatica, frequentata da una distinta clientela proveniente da tutta Europa, perfino da Oltreoceano; solo gli Svizzeri non la prendevano molto in considerazione». Dovessimo seguire lo sguardo di Gottfried Keller (considerato fra i grandi autori del Paese, grazie anche a Enrico il Verde e Romeo e Giulietta al villaggio) in questo racconto del 2000 firmato dall’autore svizzero Thomas Hürlimann e intitolato Il bicchiere del tramonto, probabilmente troveremmo ancora, a distanza di 136 anni, proprio quel medesimo paesaggio che spesso e volentieri si usa rispolverare il Primo Agosto. Gli stessi scorci spettacolari e imponenti che videro la nascita dell’embrione di quella che sarebbe diventata la nostra Confederazione, cuore dell’immaginario collettivo generale, nonché location di sempre più film bollywoodiani e profili Instagram (con rischio, ormai anche dalle nostre parti, di indiscriminato overtourism). Al di là di qualsiasi prospettiva bucolica, però, e di estemporanee adunate agostane intorno a una griglia con l’attesa emozionata dei discorsi dei politici e dei fuochi d’artificio, la Festa nazionale può diventare anche occasione di riflessione condivisa. In un’epoca tutt’intorno a noi sempre più belligerante, infatti, non è stato rispolverato solamente un certo linguaggio, con termini come «difesa» e «riarmo», ma anche concetti complessi come «democrazia» e «neutralità», sulle cui accezioni si è lungamente dibattuto.
Senza volere prendere in considerazione incertezze e scandali, che a intervalli più o meno regolari contrappuntano il tutto sommato placido incedere politico elvetico, alle nostre latitudini la democrazia parrebbe godere di una salute perlomeno buona. Non ci spingeremmo comunque a definirla solida, poiché, come ci stanno dimostrando diversi scenari dello scacchiere internazionale, non è nella sua natura quella di essere solida, né tantomeno inattaccabile o inestinguibile. La democrazia, infatti, può venire in qualsiasi momento ribaltata o erosa dall’ego di un (imprevedibile) despota, così come da una classe politica – democraticamente eletta – determinata a calpestare anche il più basico dei diritti umani, come casa, cibo e sanità. Conviene dunque difenderla in toto, accettando perfino il compromesso, purché la sua struttura contempli la capacità di rispettare costituzione, stato di diritto, libertà individuale e di stampa, eguaglianza politica, e via dicendo, poiché, alla resa dei conti, rappresenta la miglior forma di coesione possibile per il maggior numero di persone e, soprattutto, non è passibile unicamente di peggioramenti, ma anche di miglioramenti, essendo per sua natura composta da chi la pratica. O per dirla con le parole di Winston Churchill, mutuandole da un suo discorso del 1947 passato alla storia, «Se è vero che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre forme che si sono sperimentate sinora, è bene che diventi un vizio, nella speranza che sia difficilissimo poi smettere». Una speranza che ci farebbe comodo, a pochi giorni dal prossimo Primo Agosto, per rinnovare un augurio al Paese, quello, se necessario, di diventare sempre più «vizioso», poiché nessun tipo di progresso può considerarsi tale al netto del processo democratico.