«Necessari controlli a tappeto e sanzioni»

Il tempo delle donne vale meno di quello degli uomini. Lo stesso si può dire per le competenze, l’esperienza e la determinazione, a quanto pare… Questo concetto fastidioso ci ronza in testa mentre sfogliamo Le cifre della parità: un quadro statistico delle pari opportunità tra donne e uomini in Ticino dell’Ufficio cantonale di statistica (lo trovate online). Sull’edizione 2025, pubblicata lo scorso giugno, si parla di 577 franchi in meno al mese nel settore pubblico e di 720 in quello privato, dati 2022 (vedi scheda in basso). Lo stesso documento distingue la parte di divario «spiegabile» – legata cioè al livello di formazione, all’anzianità di servizio, al settore lavorativo – dalla parte «non spiegata», ovvero non riconducibile a fattori oggettivi e misurabili, quindi potenzialmente dovuta a discriminazione. «In Ticino, nel 2022, la differenza salariale tra donne e uomini non spiegata è pari all’11,1% del salario mediano maschile».

Andiamo oltre i dati. Esiste un articolo costituzionale preciso che recita: «Uomo e donna hanno diritto a un salario uguale per un lavoro di uguale valore» (art. 8, cpv. 3). Articolo che evidentemente non viene rispettato, ribadisce Nora Jardini Croci Torti, co-direttrice di Equi-Lab, un servizio di consulenza in materia di conciliabilità e pari opportunità con sede a Lugano (www.equi-lab.ch). «Cambiare lo stato delle cose è difficile», continua l’avvocata. «Partiamo dal fatto che non si parla volentieri di soldi e lo stipendio resta un tema tabù: non c’è nessuna trasparenza in materia e i datori di lavoro hanno ampissimi margini di manovra. Capire di essere discriminate a livello di salario è complicato: bisogna farsi avanti, raccogliere dati veritieri e prendere in mano la situazione. Molte donne non si pongono nemmeno il problema: sono contente di avere un lavoro pagato, punto, anche se meno». Con conseguenze di non poco conto: minore disponibilità economica per spese, risparmi e investimenti; maggiore dipendenza da altre fonti di reddito (partner e Stato), specie in situazioni di emergenza o in tarda età…

Per chi si rende conto di essere sottopagata, e vuole far valere i propri diritti, la strada è in salita. «La lavoratrice può infatti intraprendere un’azione giudiziaria sulla base della Legge federale sulla parità dei sessi (LPar) – che compie 30 anni – ma costa fatica. Si tratta di un grosso impegno emotivo che richiede perizie e pazienza (tempi lunghi), senza contare il dispendio di soldi, la possibilità di essere messe all’angolo, licenziate. La possibilità di perdere». Jardini Croci Torti ha seguito, al Tribunale federale, il caso di una dipendente cantonale che è stata nominata capaufficio e denunciava il fatto che due suoi sottoposti guadagnavano più di lei. Ma il tribunale non le ha dato ragione, sottolineando che i suoi colleghi lavoravano nell’ufficio da più tempo. «La maggior parte delle dipendenti accetta quindi la situazione o si cerca un impiego con un salario migliore», afferma l’intervistata. Al consultorio di Equi-Lab arrivano comunque poche segnalazioni di discriminazione salariale, forse una su circa 400 consulenze l’anno. «Di solito la lavoratrice si rivolge a noi per un licenziamento e poi si capisce che era anche sottopagata».

Ma cosa fa il Cantone su questo fronte? Ce lo spiega la delegata per le pari opportunità Rachele Santoro: «Nel 2022 ha avviato un progetto pilota per promuovere la parità salariale, introducendo controlli per le aziende che operano nel quadro delle commesse pubbliche e hanno oltre 100 dipendenti (verifiche a campione, 5-6 aziende interpellate l’anno). I controlli verranno estesi alle ditte con più di 50 dipendenti, le quali spesso non dispongono di politiche salariali strutturate, una situazione potenzialmente insidiosa in ambito di parità salariale».

Dal canto suo Nora Jardini Croci Torti fa notare i limiti di tali verifiche: la stragrande maggioranza delle aziende ticinesi non arriva a 100 dipendenti; è sufficiente che un’azienda dimostri una volta di rispettare la parità salariale per essere esentata da ulteriori controlli; chi non rispetta le regole non viene sanzionato, deve semplicemente sottoporsi a un nuovo test. «Qualcosa di più concreto andrebbe fatto: verifiche a tappeto su tutte le aziende, ad esempio, e multe oppure divieti di partecipare a gare d’appalti per chi non rispetta le regole».

Ma torniamo a Santoro: «Il Cantone è stato inoltre uno dei primi firmatari della Carta della parità salariale promossa dall’Ufficio federale per l’uguaglianza fra donna e uomo, la quale spinge sulla sensibilizzazione (LPar e dintorni) di chi si occupa di fissare gli stipendi e di valutare le funzioni, così come dei professionisti del reclutamento, della formazione e dell’avanzamento del personale. E prevede verifiche regolari della parità salariale per mezzo di uno standard riconosciuto. Il Cantone punta molto sulla promozione dell’equità soprattutto negli ambiti parastatale, comunale, degli enti sussidiati e sta funzionando: in diversi stanno aderendo alla Carta». Guardiamo ora oltre confine: entro giugno 2026 i Paesi europei dovranno recepire la Direttiva sulla trasparenza salariale la quale implica, tra le altre cose, che le aziende sul territorio dovranno essere pronte a fornire, a chi li richiede, dati dettagliati sulla propria retribuzione rispetto a colleghi con mansioni simili. «Un interessante passo avanti», commenta la delegata per le pari opportunità, ma resta un problema: «Non si avrà accesso alle informazioni dirette sulla busta paga del proprio collega, bensì si conoscerà la media degli stipendi delle persone che svolgono mansioni simili alle nostre in posizioni equivalenti».

Qualche idea per il Ticino. Santoro suggerisce l’opportunità per le aziende di procedere a una valutazione della propria struttura salariale: bisogna verificare che i sistemi retributivi utilizzati siano basati su criteri non discriminatori, oggettivi e neutri sotto il profilo del genere, e se necessario modificarli. In questo processo può essere di aiuto «Logib», un’applicazione messa a disposizione dalla Confederazione (online). «Inoltre – dice la nostra interlocutrice – al momento di fissare degli stipendi è fondamentale considerare e valorizzare eventuali pause di carriera dedicate al lavoro di cura, percorsi che sperimentano soprattutto le donne. Un esempio: una dipendente per tre anni ha scelto il part-time per accudire i figli? Quando rientra in ditta le dovrebbero essere riconosciuti tre anni di lavoro full-time (fuori ufficio ha tra l’altro acquisito competenze utili anche a livello professionale, le cosiddette soft skills). È un principio considerato da pochi datori di lavoro ma fondamentale per riuscire a ridurre la disparità». Perché il tempo delle donne vale come quello degli uomini.

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