Nuova vita al cinema

Il Film Festival di Locarno – ormai alle porte – è da sempre un osservatorio privilegiato sul cinema d’autore, ma negli ultimi anni si è fatto conoscere anche come centro propulsore per il recupero del patrimonio cinematografico. A guidare questo slancio c’è Markus Duffner, Direttore di Locarno Pro e ideatore della piattaforma Locarno Heritage, dedicata proprio alla valorizzazione del cinema di patrimonio. Un universo in rapida crescita che – fra database, laboratori e restauri di film selezionati – sta ridisegnando il ruolo dei festival nel recupero dell’immaginario cinematografico. Festival che quest’anno proporrà la Prima mondiale delle copie restaurate di due film d’eccezione: I cannibali (1970) di Liliana Cavani e Anno uno (1974) di Roberto Rossellini. Abbiamo parlato con lui di restauri, memoria, politica e nuovi modelli di collaborazione tra archivi, festival e industria.

Markus Duffner, com’è nata l’idea?
Tutto è iniziato nel 2020, durante il lockdown. Avevo già fatto esperienze personali con una piattaforma di streaming indipendente, quando, ragionando su progetti in corso per il Festival, ci siamo resi conto che c’erano pochi film classici disponibili legalmente. I diritti erano spesso oscuri, le copie in cattivo stato, i sottotitoli mancanti. Così è nato Heritage Online, un database B2B gratuito, oggi usato da più di duemila professionisti per reperire diritti e materiali (per Festival, sale, musei), con oltre 10mila titoli presenti.

Un discorso dunque anche economico produttivo, oltre che culturale…
Sì, il pitch di Heritage Online è proprio quello di dare una nuova vita commerciale a film dimenticati e rimetterli in circolazione per chi non li ha mai visti, originando un riciclo generazionale del pubblico. Da questa esperienza è poi nato nel 2022 Locarno Heritage, il contest: chi detiene i diritti di un film può candidarlo a questa sezione del Festival, che offre in cambio, al film premiato, il restauro gratuito. E, per fortuna, entrambe le pellicole hanno già dei venditori che potranno, internazionalmente, farli girare. Sono sicuro che questi due film andranno ovunque.

Ed è un unicum?
Non ci sono molti altri Festival che hanno una categoria dedicata alla restauro. Tant’è che ci invitano anche in molti altri eventi proprio per parlare di questa iniziativa che copre una lacuna dell’attuale panorama festivaliero.

Ma chi propone questi film? La casa di produzione che li pubblicò o chi detiene i diritti?
Questa è la parte più ingarbugliata del progetto: per noi conta chi detiene i diritti. Solo che, in genere, i diritti dei classici passano di mano in mano. Viene chiamata in gergo la catena dei diritti, diritti che devono essere comprovati. Questione non di poco conto.

E dunque come sono stati selezionati I cannibali e Anno uno?
I cannibali è il vincitore del contest dell’anno scorso, per cui è stato scelto da una giuria esterna e internazionale. Mentre il secondo titolo – in questo caso Anno uno – viene normalmente selezionato in accordo con il direttore artistico del Film Festival, Giona A. Nazzaro, e questi secondi film sono sempre in qualche modo coerenti con il programma. I due di quest’anno sono certamente opere di rilievo per la Storia, e possono favorire un parallelo con l’attuale situazione politica internazionale.

Che cosa significa «restaurare un film»?
È una ricerca dell’archetipo. Ma l’archetipo in questo caso qual è? Il film così com’era nella prima proiezione? O quello che più rispecchia la sceneggiatura? Oppure quello che il regista aveva davvero in mente? Ogni restauro è un compromesso, ma è anche una dichiarazione di poetica.

E per voi, nel concreto?
Il nostro obiettivo non è rendere i film «più belli», ma riportarli il più vicino possibile all’intento originario. Per questo si lavora sempre e solo con materiali originali, in 4K, ma con standard adatti allo streaming e alla proiezione in sala. Si fanno ricerche, si coinvolgono operatori e professionisti che hanno partecipato alla prima versione: viene poi fatto un lavoro minuzioso su suono e colore – che di solito si deteriorano particolarmente nelle pellicole – ma solo dopo aver definito il montaggio su cui lavorare, una ricerca quasi mitologica per stabilire quale sia quello che più si avvicina alla perfezione dell’originale. A volte servono mesi per trovare l’interpositivo (ndr: copia non definitiva) giusto. Chi lavora poi nel concreto, spesso lavora fotogramma per fotogramma per togliere i peli e le bruciature. Ho grandissimo rispetto per chi riesce a mantenere una così alta concentrazione per settimane.

Avete mai scoperto materiali inediti nel corso dei restauri?
A volte emergono interpositivi o versioni con scene diverse. È successo con I Cannibali: ci sono state differenze di montaggio, ma nulla di completamente inedito. Il lavoro più lungo è stato ricostruire l’ordine corretto e sincronizzare audio e immagini.

Sembra tutto molto costoso: chi finanzia questo immenso lavoro?
Sì, da 30 a 80mila franchi, a seconda dello stato del materiale, della lunghezza del film e delle lavorazioni necessarie. E il festival non avrebbe sufficienti risorse se non fosse per un’importante partnership con Cinegrell – un laboratorio di Zurigo di alto livello che sponsorizza il progetto – e ci offre il lavoro in cambio di visibilità. In Europa ci sono anche fondi pubblici per il restauro del patrimonio nazionale. Ma è uno scenario molto disomogeneo: alcuni paesi investono molto, altri nulla.

Riportare alla luce certi film è anche una scelta politica, oltre che culturale?
Io credo che ogni scelta culturale rifletta il tempo in cui viviamo. Il nostro compito non è essere ideologici, ma aprire un dialogo. Anche il restauro di un classico è un atto contemporaneo, perché ridà voce a un immaginario e lo rende accessibile oggi. A volte scopriamo che certe simbologie – come il pesce cristiano nei Cannibali – sono ormai indecifrabili per i giovani. Ma proprio per questa ragione restaurare è anche un gesto educativo.

Quale film vorrebbe venisse restaurato, se potesse scegliere?
Sono appassionato dei Monty Python e probabilmente sceglierei Life of Brian di Terry Jones. È un film straordinario, intelligente, una critica alla disinformazione e ai meccanismi religiosi e mediatici. All’epoca fu censurato duramente, ma oggi è più attuale che mai. E fa ancora ridere tantissimo.

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