In una conferenza stampa tenutasi a Gerusalemme est lo scorso lunedì le organizzazioni israeliane «B’Tselem» e «Physicians for human rights» (PHRI) hanno presentato due report nei quali denunciano le atrocità in corso a Gaza per giungere alla conclusione che si tratterebbe effettivamente di genocidio. Dall’ottobre 2023 le ong hanno raccolto innumerevoli prove tra cui testimonianze oculari e documentato centinaia di incidenti che hanno comportato una violenza estrema e senza precedenti contro i civili palestinesi in tutto il territorio controllato da Israele. L’esame della politica israeliana nella Striscia di Gaza, insieme a quello delle dichiarazioni di importanti politici e comandanti militari sugli obiettivi dell’offensiva, testimonierebbero che Israele sta intraprendendo un’azione coordinata e deliberata per distruggere la società palestinese nella Striscia di Gaza. Elementi come la separazione delle due etnie, privilegi, discriminazioni, l’immunità concessa a chi viola sistematicamente i diritti umani, il militarismo e altri ancora hanno posto le basi per quello che sta avvenendo, ma solo le conseguenze del 7 ottobre avrebbero fornito le condizioni per perpetuare tanta distruzione. Secondo il report di B’tselem la portata delle atrocità commesse da Hamas e da altri gruppi armati palestinesi avrebbero infatti generato ansia e un senso di minaccia esistenziale tali da innescare anche «un cambiamento nella politica israeliana nei confronti dei palestinesi nella Striscia di Gaza: dalla repressione e dal controllo alla distruzione e all’annientamento». B’Tselem mette inoltre in guardia dalla «normalizzazione» dei crimini e dal pericolo concreto che il genocidio non rimanga confinato alla Striscia di Gaza e che le azioni e la mentalità di fondo che lo guidano possano estendersi anche ad altre aree: «L’attacco a Gaza non può essere separato dall’escalation di violenza inflitta, a vari livelli e in diverse forme, ai palestinesi in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, e all’interno di Israele».
Dal canto loro, i membri di Physicians for Human Rights Israel denunciano la catastrofe umanitaria come risultato della distruzione del sistema sanitario di Gaza condotta nel corso di questi 22 mesi. Le prove raccolte e presentate dall’associazione dimostrerebbero uno smantellamento deliberato e sistematico attraverso «attacchi mirati agli ospedali, ostruzione degli aiuti medici e delle evacuazioni, nonché uccisione e detenzione del personale sanitario». «Come abitanti di questa terra e come attivisti per i diritti umani, è nostro dovere testimoniare la situazione che noi e molti altri abbiamo documentato e indagato» hanno affermato gli operatori, chiedendo sia alla società israeliana che alla comunità internazionale di intervenire immediatamente e con tutti i mezzi disponibili secondo il diritto internazionale. Purtroppo, sino ad ora molti leader statali, in particolare in Europa e negli Stati Uniti, non solo si sono astenuti da azioni efficaci per fermare l’annientamento e la violenza, ma hanno anche permesso che continuassero, sia attraverso dichiarazioni che affermavano il «diritto all’autodifesa» di Israele, sia attraverso un sostegno attivo, incluso l’invio di armi e munizioni. Soprattutto per gli ebrei israeliani si tratta di conclusioni estremamente dolorose da digerire, anche perché, come ha affermato Yuli Novak direttore esecutivo di B’Tselem, «niente ti prepara a realizzare di essere parte di una società che commette un genocidio». Novak ha parlato anche dell’importanza di «chiamare le cose con il loro nome», tuttavia la ricezione «entusiasta» dei report delle ong israeliane all’estero fa riemergere tristemente anche lo spettro dell’antisemitismo. Soprattutto sui social, purtroppo, le dichiarazioni israeliane si sono viralmente trasformate in un trofeo per chi non aspettava altro che applicare agli ebrei l’etichetta di autori di un genocidio, meglio ancora se ad affermarlo sono gli ebrei stessi.
Inutile dire che si tratta di un approccio deleterio che rischia di condannare la società israeliana a soccombere al trauma portandosi nel baratro i palestinesi. Una visione corretta è invece quella che vede nelle accuse formulate il prezioso risultato della stretta collaborazione tra i due popoli per un futuro di pace e libertà. In organizzazioni come B’Tselem, ebrei-israeliani e palestinesi lavorano fianco a fianco da decenni, guidati dalla visione condivisa che la difesa dei diritti umani e la denuncia di discriminazioni, oppressione, violenza e annientamento costituiscano un obbligo umano e morale fondamentale anche a costo di mettere a repentaglio la propria incolumità psico-fisica. Il report di B’Tselem è intitolato «Il nostro genocidio» proprio perché nasce da un’esperienze di solidarietà, umanità ed empatia reciproca, un’isola di speranza in un momento estremamente buio. Ad oggi la maggioranza degli israeliani si oppone fermamente all’accusa di genocidio, tuttavia nelle ultime settimane si percepisce un cambiamento di percezione e consapevolezza da parte dei civili e il numero dei manifestanti contro la guerra a Gaza cresce di giorno in giorno. Per stabilire le corrette definizioni ci sarà ancora tempo, ma chi tace adesso di fronte ai crimini e alle ingiustizie in corso è complice.