«Ho 27 anni e non so cosa voglio fare da grande»

Buongiorno,
mi chiamo Mariangela, ho 27 anni ed è dalla seconda liceo che mi rompo la testa nel cercare di capire «cosa voglio fare da grande» (nel frattempo però sono diventata grande). Ho creduto, a volte per mesi a volte per poche ore, di voler svolgere praticamente qualunque professione, le ho considerate tutte. Quando mi convincevo di qualcosa, non passavano un paio d’ore che lo dovevo mettere nuovamente in discussione. Nel mio percorso accademico ho dapprima iniziato a studiare medicina, ma per mancanza di motivazione e «visione», ho cambiato varando verso biologia, visto che era una delle materie che più mi interessavano al liceo. Certo è che non ho mai considerato l’aspetto lavorativo che ora, invece, a distanza di un anno dopo aver finito i miei studi in Svizzera interna, ha un certo peso. Ho avuto la fortuna di trovare subito un luogo di lavoro che mi ha accolta, tuttavia non mi motiva, mi sento spenta. Da un lato il disagio attuale spinge al cambiamento, dall’altro le paure bloccano ogni movimento. Mi sento confusa, non so chi sono e cosa voglio dalla vita anche perché «guardando al mondo là fuori» la fiducia verso il mondo, le altre persone e il futuro svanisce all’istante. Che fare? Come uscire dall’impasse? Grazie mille dal cuore, cari saluti,
Mariangela

Cara Mariangela,
ti mostri capace d’introspezione e di pensiero critico ma la prima cosa che comunichi è una grande solitudine. Il fatto che ora chiedi ascolto e consiglio mi sembra molto importante perché rivela una consapevolezza nuova. Sinora la tua vita si è svolta sotto il segno del privilegio: hai potuto studiare dove e come volevi, cambiare Facoltà secondo l’estro del momento senza valutare le conseguenze. Il risultato è sempre stato un forte disagio. Il fatto che tu non abbia un assoluto bisogno di lavorare rende più difficile uscire dal guscio dell’adolescenza, quando sembra possibile tutto. Alla fine volere tutto e non volere niente finiscono col coincidere e l’onnipotenza si trasforma in impotenza.

Se rileggi la tua lettera vedrai che il soggetto di ogni frase è uno solo: «io». L’egocentrismo rivela una personalità narcisistica ma, come spesso avviene, non vorrei demonizzare tutto il narcisismo. Ne esiste uno buono e uno cattivo. Il primo, l’amor proprio, fornisce autostima, fiducia nelle proprie risorse anche quando non vengono immediatamente riconosciute. Il secondo, che blocca le relazioni con gli altri, isola e inibisce la costruzione della propria identità.

La domanda che rivolgi a te stessa «cosa voglio fare da grande?» ne cela un’altra fondamentale «chi sono io?». Una domanda cui cerchi invano di rispondere. La tua identità, fluida e mutevole, non sembra in grado di darti continuità e solidità per cui ogni situazione, anche la più favorevole, diventa ben presto insopportabile. Che fare? Innanzitutto riconoscere che non ti sei messa al mondo da sola, probabilmente hai avuto genitori, fratelli, parenti e amici. Presenze che di solito animano la nostra mente, vivificano il nostro cuore, ma in te non ve n’è traccia.

Cerca di ripensare la tua storia utilizzando tutte le declinazioni del verbo essere. Meglio ancora se la scriverai veramente immaginando, mentre batti i tasti, di dialogare con un interlocutore e, alla fine, di condividere la tua autobiografia con lui o con lei. Chiunque scriva desidera essere letto. Il riconoscimento sempre reciproco e ammetterlo è già un’apertura verso gli altri, un mettersi in gioco che infrange la chiusura di una presunta autosufficienza.

Il risultato, che ti auguro, potrebbe essere incontrare l’amore, vivere le emozioni dell’innamoramento, progettare un futuro insieme. So che ce la farai e questa lettera costituisce il primo passo lungo il cammino di «diventare grande».

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