Il bit nell’universo dei quanti

«Nessuno capisce la meccanica quantistica», diceva con un certo gusto per il paradosso Richard Feynman, che per non capirla ci aveva vinto un premio Nobel nel 1965. Con la sua ironia il fisico americano sintetizzava la contraddizione che ancora oggi vivono i suoi colleghi nei laboratori di tutto il mondo: la fisica quantistica funziona, perché riesce a descrivere il comportamento della materia a livello dell’infinitamente piccolo. Ma ci restituisce una visione della Natura assurda, che sfida la nostra intuizione. In essa una particella subatomica può essere in più stati contemporaneamente finché non viene misurata; elettroni o fotoni possono comportarsi sia come particelle che come onda e due o più particelle possono essere intrecciate in modo tale che, misurando lo stato di una, si conosca istantaneamente lo stato dell’altra, indipendentemente dalla distanza che le separa.

Ma questo non ha fermato gli scienziati, che – con ingegnosità – sfruttano il comportamento paradossale della materia per sviluppare una nuova e promettente tecnologia: il computer quantistico. A differenza di quelli classici che utilizziamo ogni giorno, i quali si basano su bit che possono rappresentare solo 0 o 1, i computer quantistici utilizzano i qubit (bit quantistici), che possono esistere in una sovrapposizione degli stati quantistici 0 e 1, con una certa probabilità associata, per poi collassare in uno dei due stati nel momento della misura. Sfruttando le bizzarre leggi della meccanica quantistica, questi computer possono eseguire calcoli in un modo radicalmente diverso e potenzialmente molto più efficiente rispetto ai computer attuali, aprendo la strada alla risoluzione di problemi finora considerati impossibili. I qubit superconduttori sono uno dei tipi di qubit più promettenti e avanzati, utilizzati nella costruzione dei computer quantistici. Sono la tecnologia di base impiegata da giganti come IBM e Google e nell’agosto 2024 un giovanissimo team della Fondazione Bruno Kessler (FBK), a Trento, è riuscito a produrre il primo qubit di questo tipo in Italia. Un risultato importante ottenuto anche grazie al lavoro della sua coordinatrice, la fisica Federica Mantegazzini, tornata in Italia dopo un passato di ricerca in Germania.

Federica Mantegazzini, a che cosa state lavorando ora? E quali sono i prossimi passi del suo lavoro di ricerca?
I circuiti quantistici superconduttivi possono essere utilizzati per tanti scopi diversi. Al momento ci stiamo concentrando su due aspetti: da un lato migliorare la qualità, la riproducibilità e le performance degli elementi del circuito e dall’altro lavorare a dispositivi innovativi sia nell’ambito dei computer quantistici che dei sensori quantistici e della fisica fondamentale. Abbiamo recentemente depositato due brevetti per dei dispositivi superconduttivi che abbiamo inventato per il controllo di processori quantistici.

Lei sostiene che i computer quantistici abbiano un potenziale rivoluzionario. Ci può fare qualche esempio concreto di applicazioni future più promettenti che vedremo emergere in questo campo?
Gli ambiti che potenzialmente saranno toccati da questa rivoluzione spaziano dalla medicina alla finanza, dalla farmacologia all’esplorazione spaziale, dai modelli meteorologici alla ricerca di nuovi materiali. Nel concreto potremmo per esempio essere in grado di fare previsioni meteorologiche più precise oppure scoprire nuovi farmaci in modo più veloce ed efficiente. Alcuni sensori quantistici vengono già utilizzati in ambito medico per monitorare i segnali cerebrali o anche nel campo della geologia per applicazioni di geo-esplorazione, oltre che possibili future applicazioni in ambito spaziale. I computer quantistici possono risolvere in modo efficace e veloce certi compiti e già oggi sono utilizzati per esempio nell’ambito della scienza dei materiali, della chimica computazionale e della farmacologia. In questi campi vogliamo analizzare e simulare un numero vastissimo di combinazioni, un’operazione che viene eseguita in modo molto più veloce ed efficace da un computer quantistico rispetto ad un computer classico. Un altro esempio di applicazione sono i problemi di ottimizzazione in ambito finanziario, dove siamo di fronte a una dinamica caotica e di difficile predizione, in cui un calcolo quantistico può fare la differenza.

Il funzionamento di un computer quantistico è lo stesso di quello della natura, perché si basa sulle stesse leggi. Quali sono le implicazioni per la scienza e la ricerca di questo aspetto di questa nuova tecnologia?
Un calcolatore quantistico è naturalmente più adatto per mappare un sistema fisico che si vuole studiare, se anch’esso è regolato dalle leggi della meccanica quantistica. I computer quantistici possono essere quindi sfruttati come simulatori, ovvero per «mimare» sistemi fisici complessi che ci interessa studiare. Per esempio possiamo replicare il comportamento di sistemi atomici o subatomici, o interazioni nucleari o molecolari, prevedendone così l’evoluzione temporale.

Questa interazione così intima con la controintuitiva realtà della meccanica quantistica cambia in qualche modo la sua stessa visione del mondo?
Personalmente sono molto interessata alla filosofia e dunque trovo estremamente stimolanti le riflessioni sull’oggettività della realtà che nascono dalla meccanica quantistica, come per esempio quelle sul ruolo dell’essere umano, che nel tentativo di conoscere la natura nei suoi meandri più intimi inevitabilmente ne altera le proprietà. Mi trovo ad osservare una netta divisione tra le domande e implicazioni filosofiche che la meccanica quantistica fa emergere e l’utilizzo concreto di questa teoria nel nostro lavoro da fisici. Quando ci concentriamo su un problema specifico utilizziamo la meccanica quantistica come strumento, senza essere influenzati dalla sua contro-intuitività, mentre solo facendo un passo indietro e riflettendo sulla teoria nel suo complesso le domande di ampio respiro trovano spazio per emergere.

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