Scrivere di sé per parlare a molti

La scrittura come un coltello, pubblicato da L’orma editore, è una conversazione avvenuta tra la scrittrice premio Nobel Annie Ernaux e l’autore Frédéric-Yves Jeannet di origini francesi, ma saldamente di stanza in Messico dal 1977. Il dialogo riportato nel testo risale ai primi anni 2000, infatti è seguito da una breve postfazione di Ernaux stessa datata 2011, in cui svela che nel periodo in cui avveniva lo scambio di mail con Jeannet lei stesse scrivendo la sua opera più famosa: Gli Anni (L’orma editore, 2015). Infine, a conclusione di questo libro, troviamo le parole di Lorenzo Flabbi, traduttore di Ernaux, che a partire da esempi concreti spiega il processo di avvicinamento alla lingua della scrittrice per renderle giustizia nel passaggio all’italiano.

Il concetto di «scrittura piatta» che Ernaux stessa utilizza per definire il suo lavoro è, in effetti, uno dei primi temi che emerge nella conversazione con Jeannet. Ernaux chiarisce come sia frutto di una scelta molto precisa di ripulitura estrema, al fine di trasformare il linguaggio in una sorta di specchio della realtà. Ed è interessante leggere come fosse lo stile che utilizzava per scrivere le lettere ai suoi genitori quando era una ragazza. Flabbi fa ulteriore luce poi spiegando che è «uno stile […] piatto sì, ma come la lama di un coltello».

Anche nelle risposte che Ernaux dà a Jeannet troviamo lo stesso approccio che riscontriamo in ogni suo romanzo: una ricerca indefessa di essere precisa e sincera. E bisogna anche ammettere che forse per pochi altri scrittori e scrittrici contemporanei vale la pena di entrare nel laboratorio della creazione come per Annie Ernaux. L’autrice, infatti, precisa a un certo punto che «scrivere è, a mio avviso, un’attività politica, ossia qualcosa che può contribuire al disvelamento o al cambiamento del mondo, oppure, al contrario, rafforzare l’ordine sociale e morale vigente».

Leggere questa conversazione mette di fronte quindi alle riflessioni di una pensatrice che ha i piedi ben radicati nella realtà e ha come obbiettivo quello di raccontare «una cultura, una condizione, un dolore». In queste pagine Ernaux spiega che l’utilizzo dell’io narrante e il tentativo di descrivere i fatti della sua vita e di quella delle persone a lei care nel modo più veritiero possibile ha come obbiettivo proprio quello di dissolvere quell’io, per approdare alla descrizione di «qualcosa tra la letteratura, la sociologia e la storia».

Per questo, da sempre, Ernaux insiste sulla sua coscienza di classe e di transfuga di classe, arrivando a dire che la scrittura è stato uno dei modi attraverso cui ha cercato di fronteggiare il senso di colpa per aver avuto accesso, grazie ai suoi studi, al «mondo dominante», lasciando i suoi genitori nel «mondo dei dominati». E che per questo uno degli obbiettivi, quando scrive, è quello di evitare ogni forma di accondiscendenza con il «lettore colto»: per farlo la sua strategia è quella di usare una lingua asciutta, scarna, piatta, appunto, nel senso di affilata.

Uno dei temi ricorrenti della conversazione con Jeannet è poi il rapporto della scrittura con la verità e non solo perché Ernaux, risaputamente, scrive autobiografie, anzi. In un passaggio lei stessa precisa come «sono parecchi i racconti autobiografici che danno l’impressione, insopportabile, di mancare la verità. E per contro molti testi definiti romanzi la centrano in pieno». Non è facile accordarsi su che cosa sia la verità, specie se non si ricorre alla religione per farlo. A un certo punto Ernaux la definisce come quello che si cerca sempre e che sempre sfugge, oppure spiega come per lei arrivi attraverso una sensazione che le permette di scrivere, dopo giorni magari in cui si ossessiona pensando a un ricordo, una scena, un’immagine che vuole raccontare.

La cosa più importante, però, che si evince da queste riflessioni così interessanti, dettagliate anche rispetto alla sua opera intera, è che è proprio quella ricerca della verità che l’ha condotta in tutti questi anni di scrittura, l’ha guidata, l’ha spinta a continuare, nonostante le difficoltà, le critiche feroci che le sono state mosse, le modalità anche insultanti della stampa nei confronti dei suoi testi: «Questa verità è più importante della mia persona, del mio interesse per me stessa, di ciò che si penserà di me, ed essa merita, esige che io corra dei rischi».

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