Un nuovo scontro per procura fra Cina e Usa?

by Claudia
4 Agosto 2025

Il conflitto fra Thailandia e Cambogia è l’ultimo capitolo di una disputa diplomatica e politica che va avanti da un secolo

In un’epoca in cui i conflitti accelerano, le crisi si inaspriscono e la diplomazia internazionale fa i conti con un nuovo ordine del mondo, in molti avevano previsto un peggioramento dei rapporti fra Thailandia e Cambogia dovuto al populismo e al nazionalismo crescenti. Eppure, fino a qualche mese fa, nessuno avrebbe potuto immaginare un’escalation così repentina e pericolosa per l’intero quadrante asiatico. Finora ci sono stati una trentina di morti fra le due parti e oltre 130 feriti. Le aree interessate dalla crisi si sono allargate a tutto il confine che divide la Thailandia e la Cambogia, in una disputa iniziata come un incidente e sviluppatasi, a partire dal 24 luglio scorso, come un vero e proprio conflitto militare. La parte thailandese ha già evacuato più di 130’000 persone e dichiarato la legge marziale in otto distretti. La Cambogia ha aperto campi per sfollati per almeno 23’000 persone, ma secondo i giornali locali le famiglie che scappano dal conflitto sarebbero molto più numerose (dati di giovedì scorso, quando «Azione» andava in stampa). Non è chiaro se e quanto durerà il cessate il fuoco deciso settimana scorsa fra Bangkok e Phnom Penh e mediato ufficialmente dalla Malesia. Il primo ministro thailandese ad interim, Phumtham Wechayachai, e il primo ministro cambogiano, Hun Manet, si sono incontrati per dei colloqui nella residenza ufficiale del capo del Governo malese, Anwar Ibrahim, nella capitale amministrativa malese di Putrajaya. Ma la presenza degli ambasciatori americano e cinese ai colloqui ha reso evidente il coinvolgimento delle due grandi potenze globali in una crisi che secondo diversi osservatori thailandesi rischia di essere una «proxy war», uno scontro per procura fra Washington e Pechino nel cuore del Sud-est asiatico. La Cambogia è un’alleata di ferro della Cina di Xi Jinping grazie al lavoro compiuto da Hun Sen, il leader autoritario che governa il Paese ininterrottamente sin dal 1998 e che solo due anni fa ha lasciato il ruolo di primo ministro a suo figlio Hun Manet, pur mantenendo ancora un’enorme influenza. Sui giornali thailandesi per giorni si è parlato di un sospetto viaggio di Hun Sen a Pechino nel pieno della crisi, e soprattutto nei giorni successivi al 24 luglio, quando un soldato thailandese che stava pattugliando il confine a Nam Yuen è saltato su una mina antiuomo PMN-2 (di recente fabbricazione russa e non un residuato bellico come inizialmente si era pensato). Il giorno dopo la Cambogia ha accusato la Thailandia di aver attaccato il Paese attorno al noto tempio khmer Prasat Ta Muen Thom, e poco dopo dalla Cambogia sono stati lanciati droni e missili sui villaggi thailandesi.

Lo sviluppo più recente del conflitto fra Bangkok e Phnom Penh è solo la parte più complicata e pericolosa di una disputa diplomatica e politica che va avanti da un secolo lungo diversi tratti della loro frontiera terrestre, lunga circa 817 chilometri. La Thailandia ha sistematicamente contestato la validità della mappa dei confini disegnata nel 1907 dalla Francia – la potenza coloniale in Cambogia. Negli ultimi vent’anni ci sono stati picchi di tensione frequenti, alternati a tentativi di riaprire il tavolo dei negoziati, ma la questione della territorialità di alcuni luoghi simbolo della cultura thailandese e cambogiana e del rispettivo nazionalismo – come i due templi Prasat Preah Vihear e Prasat Ta Muen Thom, entrambi luoghi di culto indù dell’era khmer distanti circa quattro ore di automobile l’uno dall’altro – si è trasformata spesso in una leva politica per rafforzare il consenso interno, aggravando ulteriormente la tensione anziché risolverla. La tensione fra Thailandia e Cambogia è aumentata progressivamente dallo scorso 28 maggio, quando dopo un incidente alcuni soldati thailandesi e cambogiani hanno iniziato a spararsi dalle rispettive postazioni di confine e un soldato cambogiano è stato ucciso. Pochi giorni dopo è stata fatta trapelare la registrazione di una conversazione sull’incidente avvenuta fra la prima ministra thailandese poi sospesa, Paetongtarn Shinawatra, e l’autoritario leader cambogiano Hun Sen: nell’audio si sente Paetongtarn chiamare affettuosamente «zio» Hun, e assicurargli che avrebbe fatto tutto il necessario per punire i soldati thailandesi incapaci, a suo dire, di tenere sotto controllo la situazione. L’opinione pubblica – e soprattutto l’opposizione thailandese – si è scagliata contro la prima ministra, accusata di avere troppa deferenza nei confronti del dittatore cambogiano. Il primo luglio scorso la Corte costituzionale thailandese ha sospeso Paetongtarn, dopo enormi manifestazioni di piazza.

Per le settimane successive, la situazione sembrava quasi essere tornata alla normalità, ma nel frattempo, soprattutto online e nelle dichiarazioni politiche, continuava a montare il sentimento nazionalista. Secondo molti analisti thailandesi a Bangkok la questione si è trasformata in una guerra, molto probabilmente guidata dai militari, alla famiglia di Paetongtarn Shinawatra, figlia di Thaksin Shinawatra, potente tycoon e veterano della politica thailandese che, dal 2001, guida una vera e propria dinastia. L’ombra di un colpo di stato militare non è più così lontana. Dal punto di vista politico della Cambogia, il conflitto con la Thailandia serve a rafforzare il consenso interno nei confronti degli uomini forti della dinastia Hun: da settimane funzionari di Phnom Penh minacciano di poter ingaggiare una guerra su larga scala pur di difendere il proprio territorio, ma la Cambogia non potrebbe in realtà permettersela da sola, avendo un terzo delle Forze armate a disposizione della Thailandia. È proprio per questo che in questa fase delicata di cessate il fuoco, il coinvolgimento di Cina e America è considerato fondamentale per mantenere basso il livello della crisi, ma il rischio è appunto che il Sud-est asiatico si trasformi in un altro territorio di scontro fra Washington e Pechino e delle rispettive sfere d’influenza.