«Ai nostri tavolini si è seduto anche un famoso attore… Premio Oscar!». Il proprietario dell’antica drogheria «Giovanni Riacci» di Carrara me lo dice subito, appena gli chiedo se posso fotografare la scenografica composizione di spezie in vetrina.
Sono alla ricerca delle tracce degli svizzeri in Lunigiana e il nome Riacci nasconde un’origine grigionese: Riatsch, originario di Vnà (frazione di Valsot, nella Bassa Engadina), italianizzato per ragioni ortografiche. L’interno del bar-caffè-gastronomia è una location perfetta per un tuffo nel passato. Autentico. Lo certifica il Catalogo generale dei Beni culturali dello Stato italiano: alla prima apertura (fine XIX secolo) risale la gran parte degli arredi del negozio, che si rivelano di notevole pregio. Il lungo bancone è caratterizzato, sul lato verso la clientela, da specchiature di bel marmo «fior di pesco», incorniciate da listelli in bardiglio. Le alte scaffalature in legno che fasciano completamente il vasto ambiente sono caratterizzate nella parte sommitale da decorazioni che denunciano l’influsso dell’incipiente stile Liberty. Originali anche i lampadari e il pavimento a riquadri marmorei bianchi e grigi. In un ambiente attiguo si conserva un torrefattore «a palla» prodotto a Ludwingsburg, coevo all’apertura della drogheria.
Il famoso Premio Oscar che si è seduto a un tavolino dei Riacci è Adrian Brody, in una scena di The Brutalist, il film pluripremiato che ha portato sugli schermi di tutto il mondo la maestosità architettonica delle cave del ricercato marmo bianco di Toscana. Quel bianco che richiama magneticamente lo sguardo frettoloso di chi transita su e giù per l’autostrada litoranea del mar Tirreno: è l’illusione ottica delle Apuane innevate.
Chissà, forse è proprio questa «neve eterna» che ha fermato ai piedi delle «Alpi» toscane gli emigranti grigionesi dell’800 in cammino verso il Sud, in cerca di fortuna. Come i Riacci, una delle famiglie grigionesi scese a Carrara a formare quella folta colonia elvetica di cui oggi va perdendosi la memoria. Tutti imprenditori dell’alimentazione, come testimonia il volume di Dolf Kaiser Cumpatriots in terras estras (Stampa separeda dal Fögl Ladin 1965/67): «Cla Puorger e Neisa Minar da Ramosch sun documentos intuorn il 1870 a Carrara. Ils frers Giovan e Andri Scharplatz da Strada sun documentos dal 1877. Mateo Denoth possedaiva üna drogaria dal 1888 e pü tard. In pü sun documentedas las seguaintas drogarias grischunas allò: Domenico Giuseppi (Gisep & Co.), Giovan Melcher, Christian Flütsch, Saverio Prinz (Samagnun), Adamo Spiller da la Val Müstair, Luigi Reacci (Riatsch) & Comp».
Oggi di Riacci-Riatsch a Carrara non ne sono rimasti. La drogheria è passata di mano già alla fine degli anni Sessanta, quando Giovanni junior l’ha ceduta al suo commesso, padre dell’attuale proprietaria, Emanuela Santucci, che con il marito Giancarlo porta avanti l’attività iniziata dagli svizzeri nel 1888. Gli ultimi discendenti della famiglia engadinese si dividono tra i Riacci a Pisa e a Milano, e i Riatsch rientrati in patria, tra Ginevra, Zurigo, Sciaffusa e Lugano. «Mia mamma era figlia dell’ultimo Riacci di Carrara», racconta Giovanna Lorenzi che con la zia Antonella di Pisa sta cercando di ricostruire l’albero genealogico della famiglia, a cavallo tra Svizzera e Italia, tra Riatsch e Riacci, con tutte le difficoltà burocratiche immaginabili.
«Io ho vissuto a Carrara solo un anno da bambina con mia mamma. Stavamo in casa dei nonni sopra la drogheria, quando mio papà era a Boston per il post-dottorato. Poi ci siamo trasferiti a Zurigo, dove i miei genitori, che si erano conosciuti all’università di Pisa, hanno vinto un concorso al Politecnico.
Prima di loro – aggiunge la signora Lorenzi – era già rientrato in Svizzera, per studiare medicina a Ginevra, anche mio zio Giacomo, che ha ripreso il nome svizzero Riatsch».
Il richiamo dell’elvetica patria per gli studi universitari è stato condiviso negli anni da numerosi discendenti della colonia grigionese di Carrara. Anche da Trudiana Flütsch, che dal 1970 siede alla cassa di un’altra antica bottega svizzera: la storica Pasticceria Caflisch (pure catalogata fra i Beni culturali dello Stato italiano con i suoi pregiati scaffali in noce e gli specchi dell’inizio del Novecento). «Mi sono laureata in letteratura francese e italiana a Neuchâtel e, se non fosse mancato prematuramente mio padre, avrei proseguito gli studi in archeologia a Parigi» – racconta con un pizzico di rimpianto la signora Flütsch, figlioccia di Giovanni Riacci.
Invece Trudiana, Trudi per gli amici e gli affezionati clienti della pasticceria retrò, ha dovuto cambiare i suoi programmi e rientrare a casa. Il fratello studiava medicina a Pisa e a lei è toccato portare avanti l’attività di famiglia, la pasticceria che oggi è l’ultimo presidio delle botteghe svizzere tramandate di generazione in generazione nella cittadina ai piedi delle Apuane.
«Qui a Carrara, a fine Ottocento – racconta la memoria storica degli svizzeri di Lunigiana – l’industria estrattiva era fiorente e la città aveva già attratto altri stranieri, soprattutto ingegneri tedeschi e inglesi per le teleferiche e per il trenino che collegava le cave al mare. Il commercio si stava sviluppando e gli svizzeri delle valli grigionesi (quelli della grande emigrazione che si è sparsa per tutta Europa) avevano trovato terreno fertile per impiantare le loro attività alimentari. Fino all’ultima guerra avevano praticamente il monopolio delle drogherie. Poi, nel dopoguerra e soprattutto negli anni Sessanta, molti giovani sono partiti per gli studi, a Pisa, a Milano, in Svizzera. E hanno lasciato Carrara e le attività di famiglia, che pian piano sono state chiuse o cedute. Mio papà, laureato in ingegneria elettrotecnica a Milano, aveva deciso di rientrare a Carrara per rinnovare e potenziare la società che era stata costituita dalle famiglie Flütsch e Caflisch», prosegue la signora Trudi tra un cabaret di pasticcini e un enorme uovo di cioccolato (ma garantisco che la specialità della casa sono le gelatine di frutta).
Cristiano Flütsch non aveva abbandonato Carrara neppure durante la guerra, quando gli svizzeri in Italia erano stati vivamente sollecitati a rientrare in patria. Molti erano rientrati o almeno avevano fatto rientrare donne e bambini. A chi rimaneva, il consolato di Firenze faceva affiggere una placca che ammoniva i belligeranti a rispettare la neutralità rossocrociata: «Questa casa è sotto la protezione svizzera». Trudi non era ancora nata, ma negli anni ha ricevuto numerose attestazioni di gratitudine da chi era scampato ai rastrellamenti di regime e da chi aveva trovato un tetto e un materasso nei locali della bottega. «Carrara – spiega la signora Flütsch – è stata al fronte, sulla terribile Linea Gotica, per lunghissimi mesi. La popolazione era alla fame. Mio papà, dopo la chiusura della drogheria per i bombardamenti alleati sul vicino comando tedesco, aveva accolto gli sfollati sopravvissuti all’eccidio Bergiola, un paese qui sopra sulla montagna (strage nazi-fascista del 16 settembre 1944, che causò la morte di 72 civili, ndr.)».
Nel dopoguerra la società Caflisch & Flütsch si è sciolta e il padre di Trudi si è concentrato sulla drogheria, trasformandola nell’attuale pasticceria. Oggi Trudi volteggia tra la cassa e il bancone, mentre il fratello Jon, medico, in pensione dopo il Covid, impasta, farcisce e decora nel suo laboratorio, seguendo le ricette d’altri tempi: impagabili le deliziose sfoglie alla crema formato extra-large, che fanno bene agli occhi, al palato e al cuore (forse un po’ meno alla linea…).
Le tracce grigionesi in Lunigiana non si fermano a Carrara. Trudi mi consiglia una tappa a Pontremoli, dai conterranei del «Caffè, pasticceria, gelateria degli svizzeri», avviato dalle famiglie Aichta, Beeli e Steckli a metà Ottocento. La scheda del Catalogo dei beni culturali, oltre alle decorazioni pittoriche in stile Liberty e agli arredi artistici di inizio Novecento della ditta G. Galeotti e figli di Como, segnala un ricettario del 1841: conservato in laboratorio, custodisce il segreto degli amor, due sottili wafer quadrati che stringono una crema delicatamente variopinta. «L’originale Aichta dal 1842» – si legge sulla carta degli amor freschissimi, rinomata specialità della casa, che mi sono fatta impacchettare per il viaggio.
Rincorro invano l’indaffaratissima titolare tra Pasticceria e Caffè per farmi raccontare anche la storia degli svizzeri di Pontremoli. Fuori c’è mercato, la piazza è affollata, i tavolini pieni. Dal laboratorio filtra il profumo festivo. La signora si scusa e si eclissa a passo di corsa: «Veniamo dall’Engadina e io rappresento la settima generazione degli Steckli! Il resto della storia lo può leggere sul nostro sito: www.aichta.com».