Attraverso la decadenza, affrontò la modernità

Le date si rincorrono e non c’è occasione migliore per ricordare il grande scrittore Thomas Mann morto a Zurigo settant’anni fa nell’agosto del 1955, il cui romanzo La montagna incantata, pubblicato nell’autunno del 1924, cinque anni prima di ricevere il Premio Nobel, ha ormai un secolo alle spalle. Eppure riesce ancora a farci riflettere su problemi fondamentali e sul nostro stesso drammatico presente. Il progetto era nato nel 1912 dopo aver pubblicato la novella Morte a Venezia. Lo scrittore pensava a un racconto breve che in qualche modo rispecchiasse le sensazioni e le esperienze legate al soggiorno della moglie Katia nel sanatorio del dottor Jessen a Davos in Svizzera.

Ma i tragici eventi della prima guerra mondiale lo indussero ad ampliare l’idea iniziale. Così il racconto si trasformò nel corso degli anni nella rappresentazione di un’epoca colma di contraddizioni e follie. Era una rivisitazione della società borghese e delle sue pulsioni distruttive, con una nuova e più ampia attenzione verso l’individuo e il suo problematico rapporto con la malattia, la sessualità e la morte.

Le esperienze del protagonista Hans Castorp, un giovane ingegnere di Amburgo agli inizi della carriera, nel sanatorio Berghof a Davos, rappresentano ancora oggi per il lettore una prospettiva affascinante e piuttosto complessa. Imprevedibili per lo stesso protagonista che aveva programmato una visita al cugino Joachim Ziemssen, militare di carriera affetto da tubercolosi.

La sua permanenza sarebbe dovuta durare tre settimane, ma a causa di una leggera infezione bronchiale Castorp si convince a rimanere più a lungo. Poi, colpito anche lui dal mal sottile, finirà per trascorrere ben sette anni in quella lussuosa casa di cura fino allo scoppio della Grande Guerra.

Lo sfondo del romanzo, attraverso una serie di originali personaggi, quasi un microcosmo della società del tempo, evoca l’immagine europea della modernità poco prima del suo tracollo in un gioco di rifrazioni che accostano parodia e tragedia, amore e morte, illuminismo e oscurantismo. Di tutto ciò il buon Castorp, borghese di cultura media, non ha alcuna idea, ma il suo soggiorno si trasforma lentamente in un appassionante processo di maturazione all’insegna dei grandi temi della decadenza già cari al Mann dei Buddenbrook, il suo primo fortunatissimo romanzo pubblicato a ventisei anni nel 1901.

In quest’altra opera il protagonista si muove in un’atmosfera magica, talvolta quasi fiabesca, in cui si intersecano esperienze esoteriche e occultistiche, metamorfosi oniriche e malia erotica, evocando nel suo percorso la problematicità di quegli anni. Ma al tempo stesso diventa lo strumento per una riflessione sul percorso letterario e ideologico dello stesso Mann che nelle Considerazioni di un impolitico del 1918 aveva abbracciato tesi conservatrici, difendendo la cultura, romantica utopia intesa come senso profondo e totale della vita, in contrapposizione alla civilizzazione, alla modernità e all’idea stessa di ragione illuministica.

Temi che ora, nella Montagna incantata, riemergono attraverso le figure contrapposte dell’italiano Settembrini, liberale e massone, e dell’ebreo gesuita Naphta, vate dell’irrazionalismo e mistico del terrorismo religioso e politico. Il primo incarna l’ideale dell’umanesimo e della democrazia e nelle quotidiane conversazioni con Castorp lo mette in guardia dal fascino morboso che il giovane prova per la morte e la malattia e dall’interesse verso Madame Chauchat, moglie di un funzionario russo, anch’essa ospite del sanatorio, di cui l’ingegnere si innamora fin dall’inizio. Mentre Naphta è sulla sponda opposta: difende una filosofia cinica e radicale che offre spunti per infinite discussioni, ma non una visione organica del mondo che Castorp possa condividere. Sullo sfondo si delineano le contrapposizioni ideologiche della Repubblica di Weimar e l’autore stesso, nella sua progressiva maturazione politica, si accosta sempre di più alla figura di Settembrini sensibile ai temi della democrazia e della tolleranza. Alle accanite discussioni fra i due assiste e più tardi partecipa lo stesso protagonista, mentre il cugino si mantiene piuttosto in disparte. Decide anzi di lasciare il Berghof per tornarvi più tardi, in seguito all’aggravarsi della malattia, in compagnia della madre, e morire. Così come Naphta che si suicida dopo veementi discussioni con Settembrini sfidato a duello. E come lo stesso magnate olandese Pieter Peeperkorn, figura che compare negli ultimi capitoli in compagnia di madame Chauchat, suscitando profondo interesse da parte del protagonista. Destini tristemente comuni che riecheggiano le inquietudini di una società in malinconico declino.

La montagna incantata è forse nelle intenzioni del suo autore anche una sorta di viaggio iniziatico tra figure singolari e classiche icone: quei malati che si aggirano come ombre dell’Ade per il Berghof come sul proscenio di un’apocalisse che inghiottirà anche Castorf che alla fine si allontana per andare in guerra. La geografia culturale e simbolica del romanzo costruisce un molteplice intreccio di originali richiami: perfino sull’ingenuo Castorp si proiettano le ombre di Odisseo ed Enea così come il primario del sanatorio, il consigliere Behrens, richiama Radamanto, il cui ordine è quello degli inferi, mentre la bella madame Chauchat racchiude in sé la vocazione di Venere e Persefone.

Come Felix Krull, il protagonista del suo ultimo romanzo incompiuto, anche Mann è un mago della seduzione e dell’incanto che fa del romanzo moderno un vertiginoso viaggio mitopoietico fra parodia e saggismo, senza tralasciare i gravi interrogativi del suo presente storico. L’altalena ideologica fra rivoluzione conservatrice e progressismo democratico troverà presto in lui, dopo l’incendio del Reichstag e la presa del potere da parte di Hitler, una risposta chiara e irrevocabile: l’abbandono della Germania e l’esilio negli Stati Uniti. Un congedo de-finitivo del più grande scrittore tedesco del Novecento, che al rientro in Europa nel 1952 si stabilì in Svizzera nei pressi di Zurigo. Non volle tornare nel proprio Paese, ma anzi, in virtù della sua sensibilità democratica e del suo antifascismo, non esitò a dire: «Dove sono io, lì è la Germania».

Proprio La montagna incantata testimonia attraverso figure originali e affascinanti, idee e prospettive discordi, la maturazione di un grande scrittore che volta pagina, si congeda dai fantasmi decadenti e scopre il gusto e il valore della democrazia. E pur senza illusioni lascia trasparire nell’immagine di un’epoca al tramonto l’urgenza della lotta a ogni forma di barbarie. Anche se le sue pagine, sottratte al tempo e come proiettate in un sogno, raccontano l’incertezza del presente e l’ansia del futuro.

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