Il parco Uboldo a Cernusco sul Naviglio

Alle prime armi con le stampelle, uno avanza a stento, appena uscito dall’ospedale Uboldo. In via Uboldo, quasi all’angolo con via Leonardo da Vinci, dove catturo un frammento dell’iscrizione scolpita su una lapide di marmo. Quasi coperta tutta da una pianta rampicante invasiva, l’ultima ottava della stanza quarantasei del canto settimo della Gerusalemme Liberata del Tasso, è la prima traccia del Tempio della Notte. A coronamento dei conci di puddinga – sopra una porta murata con mattoni in cotto che lasciano fuori una lunetta a raggi arrugginita da cui esce aria fredda come dagli sfiatatoi dei grotti ticinesi – il passante dovrebbe poter leggere: «Sempre all’entrar aperto, all’uscita chiuso». Scatta il nesso con la capanna del Tasso scomparsa della puntata precedente a Desio.

E così, per la serie giardini all’inglese nell’hinterland milanese, ormai quasi un feuilleton estivo, svolto l’angolo costeggiando ancora le mura del Tempio della Notte e vado dritto fino all’entrata del parco Uboldo a Cernusco sul Naviglio. Quindici chilometri a est del Duomo, a cavallo degli anni Ssettanta-Ottanta era conosciuto anche come «il paese dei liberi» per aver dato i natali a tre forti giocatori di calcio in quel ruolo.

Agguerrito, sul finire di un pomeriggio ai primi di agosto, entro in cerca di quel che rimane del giardino all’inglese di Ambrogio Uboldo (1785-1865), collezionista d’arte e armi. Stupisce subito la sopravvivenza del laghetto. Un laghetto irreale, risalente al 1808, con acqua verde pavone e un sacco di alberi e due isolette. Alimentato da un canale collegato al naviglio della Martesana – creazione di Leonardo da Vinci diramandolo dall’Adda – che scorre deciso e placido proprio qui a fianco del parco.

Il canale, prima di scomparire sotto il tempio di Diana, dove c’erano dei bagni misteriosi, è ornato di balaustra in pietra. È lì in faccia, in rovina, il tempio di Diana. Divinità dei boschi, caccia, animali selvatici, luna, parti, custode delle fonti e torrenti, protettrice degli oppressi.

Ideato da Camillo Rougier, l’architetto-cugino dell’Uboldo, artefice anche degli altri capricci da giardino e che alcune fonti riportano come Carillo Rougier altre Cirillo. L’iscrizione sul portale è indecifrabile. Colgo solo gli svolazzi incisi di lettere svanite. Una lunetta sventrata mostra un soffitto stile grotta. A fianco, su una collinetta, riesco a sbirciare dentro da un’altra lunetta e la grotta artificiale, benché con rifiuti e così via, è notevole. Non trovo però le conchiglie come ho letto da qualche parte.

Nessun sentiero porta a uno dei tre Templi della Notte esistenti al mondo. Uno si trova vicino, nei giardini di Villa Finzi, quartiere Gorla, il terzo è a una trentina di chilometri da Vienna, parco del castello di Schönau an der Triesting.

Mi arrischio così a superare lo steccato e bordeggiare il laghetto tra vegetazione fuori controllo e bottiglie di vino qua e là, ciabatte da mare o cos’alto. Mi faccio largo tra uva turca, sambuchi, rovi. Incontro una colonia di felini inselvatichiti ma cibati da qualche gattara.

Proseguo a naso, nella giungla di Cernusco, ed ecco, vicino al retro dell’ospedale una volta Villa Uboldo, l’entrata, con lucchetto, del tempio dedicato alla dea greca della notte. Il prologo, scomparso, era l’antro di Enea e Didone. Guardo tra le grate e agguanto con gli occhi, tra fantastiche stalattiti artificiali, il simulacro in pietra di un uovo di struzzo appeso. Rinascita, riti di passaggio, il pensiero che corre al quadro di Piero della Francesca. Rafforza la sorpresa, nel buio, lo sprigionarsi di raggi di luce serale. Costruito sotto una collina di riporto, il Tempio della Notte, al centro di un labirinto di cunicoli e grotte, è orientato secondo gli astri e la luce degli equinozi al tramonto.

Innamorati giovanissimi, su una panchina davanti al laghetto, su altre panchine uomini soli, catalpe, eucalipti, la casina di Angelica e Medoro: follia architettonica d’ispirazione ariostesca in stato pietoso. Supero il ponte merlato, ecco l’ultimo capriccio: una finta chiesa. C’è solo la facciata di una chiesetta lombardesca illusionistica. Saccheggiata da tutte le sculture tranne un magnifico cedro cesellato in marmo cristallino. Odore forte di mentuccia. Ai miei piedi, infatti, un manto di Calamintha nepeta in fiore. In cima, la croce, è posta su una palla di cannone.

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