In politica quando le cose vanno storte, o disattendono promesse e speranze, si è soliti invocare il ritorno alle origini: una dimensione ritenuta pura e primigenia, non ancora contaminata da interessi di parte. Ogni movimento nasce sulla base di questo spirito, che è tipico delle mobilitazioni nate sull’onda dell’indignazione e della protesta. L’analogia con le sette religiose e i gruppi ereticali è evidente. In questo caso il bersaglio polemico è l’istituzione, la Chiesa ufficiale, la teologia dominante. La stessa dinamica è osservabile nello spazio della politica. A destra come a sinistra, il bersaglio polemico è colui che si è allontanato dal momento mistico e profetico; è colui che ha tradito gli ideali per inseguire unicamente ambizioni personali, a scapito del «popolo». Un passaggio che negli anni Settanta del secolo scorso è stato studiato a fondo dal sociologo Francesco Alberoni, in saggi come Movimento e istituzione, pubblicato dal Mulino nel 1977. Questa ricerca ci è tornata alla mente in occasione del virile risveglio estivo della Lega dei Ticinesi. Il prospettato «arrocco», ossia l’idea dello scambio dei posti in Governo tra Zali e Gobbi, è stato motivato dalla necessità di scuotere e rianimare il movimento dopo anni di bonaccia. Ci si è insomma accorti che la ormai pluriennale presenza nell’Esecutivo aveva tagliato le unghie allo spiritello leghista, rendendolo del tutto uguale agli altri rappresentanti del «Governicchio».
Di qui la reazione, scaturita per ravvivare la fiamma della Lega delle origini, quando i fondatori Bignasca e Maspoli eccitavano gli animi lanciando iniziative clamorose, come l’occupazione dell’autostrada. Il fatto è che quella fase creativa ed effervescente – che Alberoni chiama l’euforia dello «Stato nascente» – è durata assai poco. Fondata nel 1991, la Lega ha presto raccolto un numero crescente di consensi, approdando in Consiglio di Stato, con Marco Borradori, già nel 1995. Si è poi giunti al raddoppio nel 2011, con Norman Gobbi. Partecipando ad una compagine governativa di tipo consociativo (in compagnia di un liberale, un centrista e un socialista), era fatale che la Lega si facesse «istituzione» e che quindi dovesse riporre in soffitta l’alabarda della ribellione. In queste condizioni rievocare le barricate non ha gran senso, se non quello di comunicare all’elettorato che si è ancora vivi e battaglieri. Il 2027 non è lontano. In passato anche il PSA (Partito Socialista Autonomo) ha compiuto un percorso analogo. Formatosi nel 1969 alla sinistra del Partito Socialista Ticinese, era però rimasto all’opposizione per diciotto anni prima di accedere al Consiglio di Stato (con Pietro Martinelli nel 1987). Quell’attesa nell’anticamera era stata più lunga, sia perché così volevano gli stessi militanti che rifiutavano di partecipare ad un Governo a maggioranza borghese, sia perché vigeva, qui come altrove, un esplicito veto anticomunista (c’era la guerra fredda).
PSA e Lega sono tuttavia confrontabili fino ad un certo punto, e non soltanto perché i tempi sono mutati dopo il crollo del muro di Berlino e l’apertura delle frontiere in un contesto di economie globalizzate. Diversa era la base elettorale: impiegati pubblici, insegnanti, liberi professionisti, intellettuali per il PSA; classi popolari, ceti declassati e gruppi di arrabbiati per la Lega. Diversissimo il bagaglio ideologico: libresco e strutturato quello del PSA (marxista); ruvido, anti-casta e populista quello della Lega. Un altro aspetto da non trascurare riguarda le influenze esterne. La confinante Italia ha sempre concimato il terreno della nostra politica locale con idee, categorie, linguaggio, slogan, posture. Numerosi i giornalisti italiani che hanno lavorato in testate ticinesi, da Gazzetta Ticinese a Libera Stampa. Il leghismo è spuntato nel nord Italia, soprattutto nel Veneto e in Lombardia, e solo dopo qualche anno ha valicato la frontiera per acclimatarsi nel Luganese. Invece altri movimenti, come i Cinque Stelle di Grillo e le emiliane Sardine, non hanno trovato ascolto al di qua del Monte Olimpino. Resta il fatto che, con l’eccezione delle effimere Sardine, tutte queste iniziative hanno vissuto la transizione da movimento ad istituzione, congedandosi quindi dal fervore ideale, mistico e dionisiaco (sempre Alberoni) che aveva alimentato lo slancio iniziale. Ci sono percorsi, anche in politica, il cui destino appare già segnato fin dal momento della «discesa in campo».