Il partito Hadash-Ta’al promuove una serrata critica non violenta all’occupazione coniugata a valori universali quali uguaglianza, libertà di opinione e laicità
Nelle ultime settimane la situazione in Israele-Palestina sembra essere fuori controllo. Allo strazio dei palestinesi vittime della fame e delle operazioni militari a Gaza, e al calvario degli ostaggi israeliani in fin di vita filmati dall’aguzzino Hamas per scatenare le piazza contro Netanyahu, di recente si è aggiunta la disgraziata decisione del Governo israeliano di procedere all’occupazione militare di Gaza. Nonostante l’urgenza di interventi esterni Trump è ambiguo, l’Europa vacilla e tarda ad attuare misure concrete, mentre sui social prevale l’ossessione di raggiungere il massimo consenso possibile sulla definizione di genocidio rispetto ai crimini perpetrati dal popolo d’Israele, la cui potenziale trasformazione da vittima a carnefice sembra offrire un’inquietante occasione di godimento ad una nutrita fascia di utenti occidentali.
Fortunatamente in Israele, di fronte alla gravità della situazione a Gaza e all’avanzamento della riforma giudiziaria che rimuove gradualmente ogni ostacolo alla dittatura, si assiste ad una mobilitazione senza precedenti dal 7 ottobre 2023. A tutte le ore del giorno in luoghi diversi del Paese hanno luogo manifestazioni di ogni genere contro la guerra, contro la fame a Gaza e a sostegno delle famiglie degli ostaggi che chiedono un accordo immediato da attuarsi con un unico scambio di prigionieri. Insieme a movimenti come Standing Together, a sua volta parte della grande coalizione per la pace It’s time, tra gli attivisti più agguerriti spiccano i sostenitori di Hadash, la lista progressista unita arabo-ebraica. Recentemente il partito Hadash-Ta’al ha goduto di una rinnovata risonanza intorno alla figura del suo leader Ayman Odeh, avvocato originario di Haifa e involontario protagonista di un tentativo di impeachment architettato dalla destra, e tristemente supportato anche da parte dell’opposizione, per estrometterlo dalla Knesset e colpire l’elettorato palestinese allontanandolo dalle urne delle sempre meno probabili future elezioni. Come se non bastasse, appena scampato da false accuse e minacce verbali, qualche settimana fa Odeh, insieme a Ofer Cassif, deputato ebreo del partito, è stato aggredito fisicamente da un gruppo di fanatici nel corso una manifestazione nella città di Nes Tziona.
Nel Parlamento israeliano di oggi, dove i cosiddetti leader dell’opposizione come Lapid, Gantz e persino Golan preferiscono sedere con i colleghi ebrei di destra piuttosto che con i palestinesi, Hadash è rimasto forse l’unico garante di quello straccio di democrazia non ancora corrosa. La sua agenda, che promuove una serrata critica non violenta all’occupazione coniugata a valori universali quali uguaglianza, libertà di opinione e laicità, potrebbe diventare sempre più popolare proprio per l’assenza di oneste alternative. A dimostrarlo è anche l’entusiasmo con cui Odeh viene accolto alle proteste alle quali interviene, come è accaduto nel Nord di Israele dove i manifestanti hanno applaudito lungamente al suo discorso: «Sappiamo che la vera lotta è tra fascismo e democrazia, tra discriminazione e uguaglianza assoluta, tra occupazione e libertà per tutti, tra una guerra infinita e una vera pace e, adesso, tra la prosecuzione dello sterminio e la fine della guerra con un accordo completo! E noi insieme, arabi ed ebrei mercanti di pace, sappiamo che i nostri valori vinceranno perché non abbiamo intenzione di rinunciare, siamo più determinati che mai. Dopo l’incubo che abbiamo passato c’è una sola cosa chiara a tutti: non c’è mai stata, né mai ci sarà, una soluzione militare, perché non si può sconfiggere un popolo intero, perché tra il fiume e il mare vivono due popoli e nessuno dei due si volatilizzerà né sparirà. Dobbiamo capire che, volenti o nolenti, il nostro destino è intrecciato, che non siamo destinati a morire insieme, bensì a vivere insieme!».
L’ottimismo che traspare dalle parole di Odeh è esattamente quello di cui hanno disperatamente bisogno oggi gli israeliani, ebrei e palestinesi con le debite asimmetrie, per non soccombere all’angoscia del baratro nel quale sta precipitando la Nazione e immaginare un futuro diverso. Tuttavia la strada è ancora tutta in salita, come dimostra il nuovo spiegamento di forze dell’ordine di fronte all’entrata della sede del partito al centro di Tel Aviv pochi giorni dopo il tentato linciaggio. Pur consapevoli di mettere a repentaglio la propria incolumità, gli attivisti non sembrano disposti a farsi chiudere la bocca e il programma è chiaro. Nel breve: mettere fine al genocidio, stipulare un accordo per tutti gli ostaggi israeliani e fermare la pulizia etnica in Cisgiordania.
Nel lungo ottenere la fine dell’occupazione, chiave quest’ultima per la normalizzazione della presenza ebraica in Medioriente anche in termini di lotte di classe. Se Oslo aveva comportato una crisi ideologica per la sinistra, secondo Odeh il 7 ottobre rappresenta una sfida al paradigma della forza sostenuto dalla destra. Ma, spiega citando Gramsci, «è nel chiaroscuro tra la morte del vecchio mondo e quello nuovo che tarda a comparire che nascono i mostri». E con i mostri devi stare molto attento anche a quello che dici, se non vuoi fare la fine di Ofer Cassif che martedì è stato nuovamente espulso dalla Knesset, questa volta per aver citato l’utilizzo della parola «genocidio» in riferimento a Gaza da parte del celebre scrittore israeliano David Grossman. Se dunque all’estero le drammatiche parole di Grossman, benché intrise di dolore e umanità, sono state criticate duramente e classificate da molti come ipocrite e tardive, in Israele per parlare di genocidio alla società ebraica devi essere quasi un eroe disposto a pagare prezzi estremamente alti. Anche Hadash, come le organizzazioni per diritti umani di cui abbiamo parlato la settimana scorsa, è simbolo dell’importanza della partnership arabo-ebraica nella lotta per la giustizia e la liberazione. Non si tratta di tracciare simmetrie, ma di comprendere che la narrazione dell’Occidente che vuole le due parti solo nemiche e contrapposte deve lasciare urgentemente spazio alla collaborazione che va favorita e sostenuta ad ogni costo.