La folla siamo noi

by Claudia
11 Agosto 2025

Folla, assembramenti, code, attese. Nel mezzo dell’estate i media ci restituiscono l’immagine di un mondo globale che sembra essersi ristretto come dopo un lavaggio andato a male. L’etichetta è già pronta: Overtourism. Ma è davvero così?

I numeri danno altre indicazioni. Per cominciare gli spazi del turismo internazionale sono ancora limitati. La metà dell’intero movimento turistico si concentra in appena quindici Paesi: in pratica l’Europa, il bacino del Mediterraneo (da solo, un terzo del turismo mondiale), gli Stati Uniti, il Sud-est asiatico. E anche quando visitano un determinato Paese, i turisti si dirigono in poche città, e all’interno di queste in pochi quartieri e in pochi luoghi instagrammable, perfetti per un selfie.

Secondo uno studio di McKinsey, una delle più importanti società di consulenza strategica internazionale, l’80% dei viaggiatori visita solo il 10% delle destinazioni turistiche mondiali. Dunque ci sono spazi vastissimi dove di turisti non si vede nemmeno l’ombra: tutto il Canada, a nord delle città lungo il confine con gli Stati Uniti, o ancora immense regioni del Sud America, dell’Asia centrale, dell’Africa meridionale. E non stiamo parlando di deserti roventi o di distese ghiacciate. Sono terre dove abitano altri uomini come noi, con la sola differenza che non li incontriamo mai, anche perché restano a casa loro, per scelta o per necessità.

Certo fa impressione leggere che gli arrivi internazionali hanno toccato 1,4 miliardi, ma al mondo ci sono pur sempre otto miliardi di individui e dunque per ogni viaggiatore ci sono sei stanziali. Per limitarci a un esempio, solo l’11% della popolazione mondiale è salito su un aereo almeno una volta nella vita e appena il 3% ha volato nell’ultimo anno.

Insomma, se troviamo folla ovunque è perché andiamo tutti negli stessi posti. La folla siamo noi, non gli altri. Ovviamente è una scelta infelice. Le destinazioni soffrono dal punto di vista ambientale (erosione del suolo, inquinamento, uso eccessivo delle risorse in alta stagione), economico (eccessiva dipendenza dal turismo, lavoro stagionale precario e mal retribuito), sociale (aumento degli affitti, negozi tradizionali sostituiti da souvenir e fast food, rumore), culturale (danni ai monumenti, banalizzazione dell’identità locale, disneyficazione). Ma nella calca anche l’esperienza dei turisti si impoverisce molto.

E dunque perché continuiamo a comportarci così? In parte naturalmente per l’oggettiva bellezza delle mete: Venezia è Venezia e non è facile indicare un’alternativa all’altezza. Spesso ho pensato che la vista della città giungendo dal Canal Grande sia la più bella di questo nostro pur meraviglioso pianeta. E tuttavia c’è senza dubbio anche una componente di conformismo. La presenza degli altri ci rassicura, ci conforta nelle nostre scelte. Se tutti sono qui, come me, vuol dire che sono nel posto giusto. È come quando facciamo la coda per ore davanti al negozio che vende l’ultimo modello di smartphone o il capo di moda. La moda, appunto.

Gli inglesi parlano di FOMO (Fear Of Missing Out), la paura di essere tagliati fuori, di perdersi qualcosa. Forse dovremmo essere più coraggiosi e scoprire il sottile piacere di una vacanza JOMO (Joy of Missing Out): rinunciare serenamente, dire no, abbandonare la via battuta.